martedì 8 gennaio 2008

Pianeta rosso

Anthony Hoffman

La voce over narrante di Carrie-Anne Moss all’inizio di “Pianeta rosso”, che risparmia senza fatica scene e dialoghi dandoci direttamente il contesto, è una trovata di economia del racconto (e del girato, e dunque dei dollari) che fa pensare a Roger Corman. Come dire, al re dei B-movies. Ma è giusto, perché “Pianeta rosso” è appunto - spiritualmente, non dico economicamente - un B-movie dei nostri giorni al 100%. Ne ha lo stesso atteggiamento “matter of fact” nei confronti della narrazione: l’immediatezza narrativa quasi brutale per cui le cose succedono, e basta.
Basta confrontare “Pianeta rosso” col suo diretto concorrente “Mission To Mars” di Brian De Palma (entrambi i film sono stati girati l’anno scorso). Al discorso che si apre a toni filosoficheggianti, quasi metafisici, di De Palma qui si oppone un semplice, diretto resoconto-di-guai (fra le sequenze notevoli, forse la migliore è quella della navetta d’atterraggio sulla superficie marziana, protetta da una specie di grappolo di enormi airbags, che precipita da un dirupo). Questa concretezza della narrazione non viene contraddetta né incrinata dai veloci discorsi sulla fede e la spiritualità, affidati in particolare a Terence Stamp.
Il film nei dialoghi insiste che la scienza non è tutto e che bisogna aver fede. C’è proprio da credergli, visto che la spiegazione dei misteri marziani in cui incappa questa pattuglia di astronauti è talmente delirante sul piano scientifico, che senza fede negli sceneggiatori uno non ne esce, non la manda giù. Anche questo è puro B-movie: la predominanza... non sarebbe giusto dire riduttivamente dell’avventura... ma del racconto, anche in barba al dettaglio estrinseco della verisimiglianza scientifica (beninteso, questo la possono fare anche i film di grande produzione: ma non con la stessa spudoratezza di questo). Così “Pianeta rosso” riporta piacevolmente alla mente molto cinema fanta-avventuroso del passato. Già il suo titolo “Red Planet” fa squillare un campanello nella memoria: richiama un titolo, appunto, degli anni ’50, quel “The Angry Red Planet” (“il furioso pianeta rosso”) di Ib Melchior, 1959, che in italiano si chiamò - in modo sviante - “Marte distruggerà la Terra”.
In quel film (che chi scrive ripesca con nostalgia da nebbiose memorie di visione infantile nei cinemini parrocchiali), Marte è una distesa rossa dove può accadere tutto e il contrario di tutto, ai limiti del delirio, ciò che ha conferito alla pellicola di Ib Melchior lo status di “cult”. Più modestamente, con più realismo, anche il Marte su cui atterra la spedizione del film presente è un “angry red planet”, sconfortante e ostile, che il protagonista maschile Val Kilmer dichiara a più riprese di odiare. Così, com’è ovvio che sia, Marte assurge al ruolo di co-protagonista, con la fredda alienità solitaria che pesa sulle sue sterminate distese vuote. Movimenti di macchina anomali e striscianti, simili a soggettive ma senza che ci sia nessuno a farsene portatore col proprio occhio, creano efficacemente un senso di minaccia.
Tutt’altro che strepitoso, “Pianeta rosso” è onesto: assicura il divertimento che promette. Il gioco di caratteri, benché stereotipato, è funzionale (la migliore in campo è la comandante dell’astronave, che segue con trepidazione la spedizione a terra: la brava Carrie-Anne Moss, il cui lungo viso ossuto è bizzarramente sexy). Efficace il nemico numero uno, il robot impazzito (non svelo nessun segreto: che si rivolterà, è chiaro fin dalla sua prima apparizione; giova ripeterlo, siamo in un B-movie, amici). Il suo aspetto da cagnone meccanico trasformatosi improvvisamente in lupo mannaro lo rende effettivamente inquietante. La scena in cui il mutamento di colore dal verde al rosso nelle sue soggettive avverte noi spettatori del guasto è uno dei diversi esempi del modo di raccontare sintetico, robusto, che sembra si possa accreditare al giovane regista Anthony Hoffman.

(Il Nuovo FVG)

Nessun commento: