martedì 8 gennaio 2008

The Experiment

Oliver Hirschbiegel

E’ un bene che sia già uscito in anteprima il film di Oliver Hirschbiegel “The Experiment”, perché così chi l’ha sperimentato ha la possibilità di avvertire tutti: come l’AIDS, se lo conosci lo eviti. Se questa presuntuosa orribilezza tedesca fosse apparsa tre mesi fa, avremmo potuto segnalarla come il peggior film in assoluto della stagione cinematografica, nonostante questa comprendesse pezzi da (meno) novanta quali “Dragonfly” e “Nowhere”; siccome ora siamo solo all’inizio della nuova stagione, sarebbe azzardato; ma diciamo che parte in pole position.
“The Experiment” è la goffa dimostrazione di un teorema psicologico-politico (che peraltro nessuno discute); in sé il concetto base potrebbe pure essere stimolante. Un team di psicologi assume per un esperimento alcuni volontari, dividendolo in due sottogruppi: “prigionieri” chiusi in cella e “guardiani” in divisa. Bella sorpresa, la previsione è che i guardiani sviluppino una sindrome autoritaria. Tutto è monitorato in stile “Grande Fratello”, al quale il film ha qualche indecisa tendenza a ricollegarsi (c’è perfino il “confessionale”!). Seconda sorpresona: l’esperimento scappa di mano ai controllori, i guardiani danno letteralmente fuori di matto, e il film finisce - anche allo scopo di attrarre spettatori - con dieci minuti moderatamente splatter.
Caratterizzato da uno svolgimento che si può definire solo infantile (buchi, indecisioni, accenni a vuoto, aperture di piste poi abbandonate, tracce perdute), il film nutre l’ambizione di proporre un assunto piuttosto prevedibile in forma paradossale, perché concentrata nel tempo di sviluppo e negli effetti, ma fallisce totalmente, a causa innanzitutto della propria incapacità di sorreggerla e costruirla sul piano narrativo. E’ un pesante “quod erat demonstrandum” svolto con una rigidezza, involontariamente caricaturale, molto teutonica. Così assistiamo a un paradosso: che mentre viene elaborato uno sviluppo astrattamente plausibile, siano proprio la logica interna e la plausibilità a naufragare come il Titanic. Le assurdità e le ridicolaggini si sprecano. Tutti i personaggi sono quanto di più stereotipato si possa immaginare, psicologie da fotoromanzo, di un’ovvietà assoluta. Non sono esseri umani, sono pupazzi manovrati per portare avanti il plot. In effetti nel corso di “The Experiment” l’unica cosa che non è prevedibile e anzi sorprende continuamente è la crescente stupidità della sceneggiatura e dei dialoghi.
Le interpretazioni si accordano alla piattezza delle caratterizzazioni. Il protagonista (Moritz Bleibtreu, il prigioniero ribelle), è un cripto-ciccione labbruto - sembra il figlio segreto turco di Mussolini - con capacità attoriali da filodrammatica. Ulteriore ridicolaggine, siccome si è infiltrato con un paio di occhiali con telecamera segreta incorporata, se li porta sempre appesi, stile fighetto, al bordo di quella specie di camicia da notte che è l’uniforme dei prigionieri: anche fra persone normali verrebbe da prenderli e buttarglieli via, figurarsi fra questi nazi-psicopatici maniaci dell’uniformità, che odiano lui in particolare; però guarda, non lo fa nessuno. La palma della non-recitazione spetta alla fidanzata del protagonista: è un’attrice di tale inespressività che in confronto l’ultima squinzia della fiction tv italiana sembra Maggie Smith, e inoltre è così brutta da far ingiallire lo schermo. Quanto ai cattivi, fanno i nazisti, cosa che ai tedeschi riesce piuttosto bene, senza uscire dalla più stretta banalità.
L’autore di quest’infelice esordio nel lungometraggio, Oliver Hirschbiegel, ha diretto in Germania diversi telefilm della serie “Il commissario Rex”, e vien da pensare che avrebbe dovuto restare nel settore. Effettivamente i suoi personaggi mantengono il para-realismo stereotipato proprio dei telefilm. Comunque il fatto che il regista sia già abituato a lavorare coi cani lo avrà indubbiamente aiutato nella gestione di questo gruppo di attori.

(Il Nuovo FVG)

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