sabato 12 gennaio 2008

My Life as McDull

Toe Yuen

Derivato dalla serie tv “McMug”, il bellissimo cartoon hongkonghese “My Life as McDull” (testo Brian Tse, art director Alice Mak, regia Toe Yuen - visto al Far East Film Festival) è l’autobiografia del maialino McDull, sempliciotto come indica il nome, con l’amorosa ma dura madre McBing. Le figure mostrano quella semplificazione pseudo infantile che troviamo negli “anime” giapponese e in vari cartoon occidentali moderni (come, volutamente più grezza, in “South Park”); è interessante che, mentre i cartoni animati si sono evoluti sulla linea disneyana d’una sempre maggiore concretezza fisica e fluidità di movimento dei personaggi, oggi la loro frontiera artisticamente più avanzata mostri uno stile naïf e tendente al frontale che non nega illusionisticamente ma anzi esalta la bidimensionalità.
Queste figure si stagliano sul fondo di una malinconica Hong Kong fotografica. Il film mescola abilmente diverse tecniche: disegno animato, computer graphics, découpage, riprese dal vero. La narrazione, frazionata a episodi, non solo è spiritosa e toccante ma del pari variata, con le sue diverse strategie (la presentazione della madre in termini di videogioco!).
Vediamo come McBing promette a McDull ammalato di realizzare il suo sogno, un viaggio alle Maldive, ma non potendoselo permettere lo imbroglia: mediante dei cartelli scritti a mano gli spaccia per volo alle Maldive una gita fuori Hong Kong in tram. Vediamo gli allenamenti di McDull allo “sport” hongkonghese dell’acchiappapanino, nella speranza materna di vederlo alle Olimpiadi o agli Asian Games - che invece neanche si terranno a Hong Kong. Il tema della disillusione attraversa il film. E nella parte finale, partendo da un’evocazione quasi proustiana del loro primo e ultimo tacchino natalizio (non riuscivano a finirlo, gli durò 6 mesi), entra un grande discorso in prima persona sul passare del tempo, sulla crescita come delusione rassegnata. Il film osa spingersi fino a McDull adulto, con la cartella da impiegatuccio, che ci parla della morte della madre (il fumo della cremazione, dice, gli riportò alla mente l’odore di quell’interminabile tacchino). Dalla voce di McDull cresciuto ecco una dura morale: “un no è un no”, “stupido non è divertente”, “grasso non è potenza”, fino al terribile “Non è detto che uno ce la faccia”, distruzione dell’ottimismo esistenziale che si crederebbe connaturato ai cartoon. Tenero McDull, triste e splendido film!

(Il Nuovo FVG)

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