mercoledì 9 gennaio 2008

Minority Report

Steven Spielberg

“Riesci a vedere?”, è la domanda che la “precog” Agatha rivolge più volte al protagonista Anderton/Tom Cruise - ed è la domanda base del capolavoro di Steven Spielberg “Minority Report”.
L’argomento è noto. Nel futuro il Dipartimento Precrimine si basa sulle precognizioni di tre veggenti, i precog appunto, per arrestare gli individui “prima” del delitto (“La dichiaro in arresto per il futuro omicidio di...”). Quando Anderton, capo del Dipartimento, scopre che lui stesso va arrestato perché entro tre giorni dovrebbe uccidere un uomo il cui nome non gli dice nulla, il sistema gli appare meno affidabile di prima, e si dà alla fuga. “Minority Report” è un racconto fantascientifico di magnifica costruzione, di tensione incessante, impreziosito da deliziosi tocchi sulla vita quotidiana del 2054; però è lungi dall’esaurirsi nell’elemento fanta-avventuroso. Spielberg è uno dei pochi registi americani nel campo della grande produzione che fa cinema filosofico, e morale. Qui il paradosso legale/temporale gli interessa soprattutto dal punto di vista morale: il presupposto fantascientifico sostanzia una riflessione sul libero arbitrio.
“Minority Report” è un film di stupefacente ricchezza di tessitura. Prendiamo per esempio questa piscina d’acqua, un liquido nutriente in cui i tre precog vegetano drogati. E’ evidentemente un grembo pseudo-materno, in cui, adulti, vengono tenuti in una sorta di pre-vita (Agatha quando Anderton la porta via dice due frasi rivelatrici: “Questo è adesso?” e “Sono stanca del futuro”): vivono in questo liquido amniotico come costretti a non nascere. Ora, ciò si collega al motivo del figlio perduto, ricorrente nel film (Anderton ha avuto la vita sconvolta dal rapimento del figlio bambino; l’origine di Agatha è una scoperta importante nello svolgimento; lo stesso Anderson è una sorta di figlio adottivo del creatore del progetto, Lamar).
Il tema base, che emerge fin dall’inizio, quando Agatha (quella meravigliosa attrice che è Samantha Morton) affonda nell’acqua della vasca stridendo “omicidio”, il tema base non solo di “Minority Report” ma anche di tutto il cinema di Spielberg, è la natura e la sostenibilità della visione. Quella dei precog, definita in termini di malattia, sofferenza, incubo, è il classico spielberghiano peso intollerabile del vedere. Con le premonizioni drammaticamente frazionate dei precog hanno qualcosa in comune gli ologrammi che vediamo nel film: il discorso verte sulla consistenza e inconsistenza delle immagini - e sulla memoria (in una scena straziante Agatha “legge” ai genitori il non-futuro, virtuale e mancato, del figlio morto).
Per questo al centro del film sta l’occhio, sotto una duplice natura che il film abilmente fonde: quello di organo dello sguardo e quella mezzo di riconoscimento del futuro attraverso le impronte oculari. Una centralità esplicitamente dichiarata con una citazione diretta: la macchina usata per l’operazione in cui Anderton si fa sostituire i globi oculari per sfuggire alle ricerche viene direttamente da “Arancia meccanica”. A sua volta ciò ci porta al tema della visione cinematografica, da Kubrick richiamata in quella scena; ricordando comunque che al cinema per ovvia trasposizione ogni discorso sullo sguardo diventa sempre un discorso sul cinema stesso.
Si potrebbe fare una miriade di esempi ma lo spazio ne consente uno solo. Nella scena in cui i “ragni” (meccanismi ragniformi da incubo che saltano addosso per controllare le impronte oculari) invadono un caseggiato di poveracci, la macchina da presa dalle aperture nel soffitto pare duplicare questa violazione dell’intimità: Spielberg paragona il valore invasivo del naturale voyeurismo del cinema a quello “diegetico” (cioè interno al racconto) dei ragni stessi. Come Hitchcock - il regista all’opera del quale maggiormente si potrebbe avvicinare “Minority Report” - Spielberg mette la consapevolezza critica dello sguardo cinematografico al centro del film.

(Il Nuovo FVG)

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