Woody Allen
La palla da tennis che sfiora la rete rimane un attimo in bilico; da che lato cadrà, decide del gioco. E’ la grande metafora della fortuna nel bellissimo “Match Point” di Woody Allen, il film più nero e nichilista della sua carriera. Altra metafora centrale è l’opera lirica come raffigurazione artistica della tragicità della vita (sono parole del protagonista). E tutto di brani d’opera italiani è composto il commento musicale, usati quale puntuale commento alla narrazione, quindi mantenendone il valore testuale (sotto questo aspetto è fortunato lo spettatore italiano).
“Match Point” riprende il tema base di uno dei capolavori di Allen (che resta superiore): “Crimini e misfatti”. Chris (Jonathan Rhys-Meyers), irlandese di umili origini, ex tennista professionista (“sa analizzare gli errori di gioco”, “freddo sotto pressione ma creativo”), è vantaggiosamente sposato con la ricca Chloe. L’amante incinta Nola (Scarlett Johansson) lo tormenta affinché lasci la moglie; lui uccide l’amante - con un piano particolarmente cinico che implica anche un’altra vittima - e non è punito ma trionfa, ingannando anche la polizia.
Sebbene sia palese il riferimento a Dostoevskij, visivamente citato nei libri di Chris, quello però che dà l’impostazione generale al film - col suo raffinato gioco psicologico familiare, l’attenzione alle sfumature, l’accurata definizione di classe - è il romanzo classico inglese di ascesa sociale. Chris si fa strada nella buona società inglese anche a costo del delitto e il film delinea con sottigliezza la sua mediocrità morale (il montaggio è raffinatamente maligno).
Dostoevskij ritorna nel dialogo finale di Chris coi fantasmi delle sue vittime - che non sono un’irruzione del fantastico bensì materializzano il discorso interiore del protagonista. Però attenzione: “Qualche volta gli innocenti vengono trucidati per un bene più grande”, dice Chris; e questo non è Dostoevskij; Raskol’nikov effettivamente uccideva l’usuraia in nome di un bene più grande, non per il più meschino degli interessi personali. Ovvero, “Match Point” realizza una crudele parodia di Dostoevskij, che si rispecchia in dettaglio nella sconfitta del poliziotto geniale, equivalente del Porfirij Petrovic dostoevskiano.
Proprio Dostoevskij ha detto: se Dio non esiste, tutto è lecito. “Crimini e misfatti” manteneva un elemento di dibattito metafisico; il pessimismo di Allen in quel film si tingeva ancora di dubbio, e soprattutto di una rivendicazione di senso nella tenerezza dei rapporti umani. Qui si è convertito nel nichilismo assoluto.
Quando il fantasma di Nola profetizza a Chris che pagherà il prezzo del suo delitto, perché il suo piano omicida era pieno di buchi, l’assassino ammette che “sarebbe appropriato” se lui fosse scoperto e punito: almeno ciò darebbe un senso al mondo. Ma accade esattamente il contrario.
L’immagine all’inizio del film, la palla da tennis che urta in ralenti il bordo della rete, viene ripresa verso la fine da quella di un anello che urta il parapetto quando Chris si libera di certi gioielli che lo comprometterebbero buttandoli nel fiume. L’anello ricade sul marciapiede; ecco qui quell’intoppo che in un racconto giallo classico (cioè un apologo eminentemente morale) servirebbe a far crollare il piano del colpevole. Il cane che non abbaia di Sherlock Holmes. Ma qui l’intoppo, l’errore nell’esecuzione del piano, mette invece in moto la catena di eventi che salva il colpevole.
Le parole in voce over di Chris in apertura - “Chi disse ‘Preferisco avere fortuna che talento’ percepì l’essenza della vita” - riportano l’antitesi del pensiero rinascimentale tra “fortuna” e “virtus”, che torna più volte nel film: il quale, fra queste due facce del materialismo, opta decisamente per la più negativa. Quest’universo insensato, dove tutti sono mediocri o malvagi o stupidi, è retto dal caso. Con sarcasmo, le ultime parole del film sono un augurio al figlio neonato di Chris e Chloe: “E che navighi col vento in poppa!”
(Il Nuovo FVG)
sabato 5 gennaio 2008
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1 commento:
"Sebbene sia palese il riferimento a Dostoevskij, visivamente citato nei libri di Chris, quello però che dà l’impostazione generale al film - col suo raffinato gioco psicologico familiare, l’attenzione alle sfumature, l’accurata definizione di classe - è il romanzo classico inglese di ascesa sociale. "
Quindi possiamo dire che Woody ci ha sottilmente ingannati: più che un ennesimo omaggio all'amato Dostoeviskij (chi ha detto "Amore e guerra"?) la sua è stata invece sarcastica satira delle vittime dickensiane. Come dire, il mondo è pieno di Fagin che non si convertiranno mai (neanche) alla bontà.
Che sia sotto (mentite?) spoglie yankee o londinesi, Woody riesce sempre a vedere lo Shylock che c'è in noi.
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