mercoledì 9 gennaio 2008

Malèna

Giuseppe Tornatore

Come dicono gli americani, abbiamo una buona e una cattiva notizia. La buona è che in “Malèna” di Giuseppe Tornatore Monica Bellucci si esibisce nuda con generosità (ah, ma questo vale le 12.000 cucuzze del biglietto? Sì, le vale). La cattiva è che questo è l’unico motivo di interesse del film.
Girava tempo fa in tv uno spot in b/n (diretto da chissà chi - fosse proprio Tornatore?) in cui un giovane pescatore siciliano ruba la biancheria intima di una ragazza per annusarla con la voluttà disperata degli innamorati segreti. Lo stesso accade, ma con meno eleganza, in “Malèna”. Siamo nella Sicilia del 1940; un ragazzino (Giuseppe Sulfaro) s’innamora di Malèna/Monica Bellucci, la bella del paese, la segue con lo sguardo, la sogna da lontano (anche “riscrivendo” nella fantasia con loro due protagonisti i film visti), lungo tutta la guerra e le complesse vicissitudini di lei.
Il riferimento spottistico non è gratuito: lo stile degli spot pubblicitari è una delle componenti base di questo film, che riesce a risultare grossolano e patinato nello stesso tempo. Come accade spesso con Tornatore, non si capisce bene cosa “Malèna” voglia essere. Una cavalcata storica? una raccolta di bozzetti siculi? un’elegia sull’amore da lontano? uno studio della sessualità adolescenziale? un remake di “Malizia”? Il problema non è che Tornatore mette troppa carne al fuoco, è che brucia tutte le bistecche. Uno potrebbe almeno dire che tramite il corpo di Monica Bellucci, percorso con sacrosanto feticismo dalla macchina da presa, il film ci restituisce una sensazione di sessualità, di sudori, di odori mediterranei; ma questo lo faceva già lo spot citato (col vantaggio di durare molto meno).
Una relativa novità sono le fantasie erotiche cinematografiche; ma anche qui il pensiero va alla pubblicità televisiva: agli spot sui tortellini di Giovanni Rana. Fra l’altro sono imperfettamente realizzate (oltre che storicamente poco accurate): Tornatore rifà la situazione più che l’inquadratura (vedi la famosa scena di Clara Calamai a seno nudo ne “La cena delle beffe”), onde si perde quel tanto che poteva esserci di verità psicologica e di interesse metacinematografico.
“Malèna” soffre di bulimia espressiva; vorrebbe avere un’ampiezza descrittiva balzacchiana, disegnare tutto un universo paesano. Qui crolla clamorosamente. Per Tornatore, se il bozzettismo ha funzionato con “Nuovo Cinema Paradiso”, basta aumentare la dose. Il macchiettismo di “Malèna” è caricato, grossolano, eccessivo, gasato, sguaiato. Inghiotte anche quelle che potevano essere figure interessanti (il padre comunista). A tal punto ha la macchietta nel sangue Tornatore, che se deve introdurre un giovane aviere “continentale” lo fa parlare nel veneto della peggior filodrammatica goldoniana. Il peggio è la figura dell’orrido avvocato, che rovina un’imitazione ben scritta dell’antica retorica forense con una caratterizzazione fisica sciagurata e un “overacting” deplorevole. L’avrebbe fatto meglio Lino Banfi; giacché “Malèna” avrebbe ben potuto essere realizzato nelle forme della vecchia “commediaccia” alla Banfi & Vitali - che peraltro era molto più divertente e molto più seria.
A onta di due-tre sequenze ben realizzate, come il bombardamento, una grossolana esagerazione indisponente caratterizza il film. Vedi le scene della masturbazione: che poi servono da spia, ci dicono qual è il modello profondo sotteso a “Malèna”: naturalmente “Amarcord”; “Malèna” mostra bene il ruolo di “cattivo maestro” che Fellini ha esercitato sul cinema italiano. Quanto a questo odioso profondo sud sessualmente assatanato e ipocrita, pettegolo e crudele, ce lo ha raccontato infinitamente meglio il grande Pietro Germi. C’è una fantasia di orgia fra nazisti con un uso (altrimenti interessante) del caleidoscopio: il riferimento sembra Tinto Brass. La formica in dettaglio bruciata con la lente dai ragazzotti all’inizio fa pensare a Peckinpah... Insomma, se Tornatore finirà all’inferno, non sarà per il peccato di originalità.

(Il Nuovo FVG)

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