martedì 8 gennaio 2008

Magdalene

Peter Mullan

L’interessante, ma in ultima analisi non convincente “The Magdalene Sisters” di Peter Mullan, Leone d’oro a Venezia, offre l’occasione di riflettere sul naturalismo nel cinema. Questa cruda cronaca della vita nelle “Magdalene” - una specie di lavanderie-conventi-lager dove finivano le giovani irlandesi considerate “cattive ragazze” - mostra quello stile che gli spagnoli chiamano scherzosamente “tremendismo”: un naturalismo forte, urlato, un po’ compiaciuto della propria volontà di mettere in scena il reale nella forma più cruda. Vedi la scena delle suore che con godimento fra sadico e lesbico organizzano sghignazzando una gara di bruttezza fisica tra le recluse nude. Non solo tutto ciò assume un aspetto estetizzante (posto che un anti/estetismo è comunque un estetismo), ma il film appare troppo evidentemente pensato, troppo programmatico; mostra troppo il suo modo di agire sulle leve del pubblico (coniando un neologismo romanesco, potremmo parlare di un film dis/piacione). Il naturalismo, quanto più affetta la sua oggettività, tanto più declama.
Una riprova è l’episodio della ragazza mentalmente instabile costretta dal prete a fargli un “blowjob”. Come dire: guardate che gente corrotta! Ma il tragico è appunto il contrario, è che questa gente in grande maggioranza corrotta non è. Fa molto più paura la superiora Suor Bridget, perché è una santa - la santità del male, ovvero, il male della santità.
Anche le caratterizzazioni dei personaggi autorizzano un sospetto di stereotipato. Tutto sommato, cosa paradossale, il personaggio più vivo e interessante del film finisce per essere, anziché le ragazze-vittime, suor Bridget, con il suo maligno umorismo, la violenza sottopelle, che confessa di amare il cinema e piange vedendo “Le campane di Santa Maria” con Ingrid Bergman. Né credo sia soltanto questione della splendida interpretazione di Geraldine McEwan, laddove alcune altre interpretazioni sono anche eccellenti, di pura scuola inglese, ma - come dire - piuttosto consce, paiono recare stampigliata la didascalia speranzosa “Best Actress Award”.
Peter Mullan ha una buona capacità registica e “Magdalene” contiene dei notevoli tocchi narrativi. Ma non ha la capacità, che aveva il primo, bel film di Mullan “Orphans”, di proiettare il naturalismo sul piano di un grottesco oggettivo (non dico mica espressionista!), che qui fa capolino raramente e fuori tono, come nell’episodio della punizione del prete indegno. Cosa che lo avrebbe artisticamente migliorato.

(Il Nuovo FVG)

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