lunedì 7 gennaio 2008

The Village

M. Night Shyamalan

Attenzione: spoiler! E’ impossibile discutere di “The Village” di M. Night Shyamalan senza rivelare due basilari sorprese del film; e pure chi sa gustare un film conoscendone già la fine, se non ha già visto “The Village” è consigliato di non leggere. Infatti la sorpresa non va svelata, non per comuni ragioni di suspense, ma perché è funzionale al sistema concettuale “a scatole cinesi” del film.
“The Village” è un film di misteriosa e disperata bellezza. Un villaggio, guidato da un consiglio di Anziani, nell’anno 1897 (Shyamalan, anche sceneggiatore, costruisce un dialogo di purezza ottocentesca assai plausibile - reso in maniera esemplare dal doppiaggio diretto da Maura Vespini). Nel bosco che lo circonda vivono creature mostruose, che con urli e lamenti fanno sentire la loro presenza. Un patto silenzioso stabilisce le zone reciproche: agli umani è proibito entrare nel bosco, le creature non ne escono. Il colore rosso è proibito, attrae le creature: ogni fiore rosso va strappato e sotterrato. Il giallo le respinge, donde cappe gialle di protezione, bandiere gialle e segni gialli sugli alberi lungo il confine, costellato di torce notturne e torri di guardia. Sembra però che il patto stia entrando in crisi; Shyamalan è bravissimo nel rendere la paura, con stupendi carrelli indietro della sua macchina da presa mobile e avvolgente.
L’opposizione fra il villaggio bucolico e l’esterno riporta un tratto profondo della storia della cultura americana: i boschi come luogo dell’Altro (la ferinità, l’indiano, il demonio), secondo una linea culturale del New England che va da Hawthorne a Lovecraft. Ovvero: il bosco come luogo del rimosso. Né è difficile vedere nella (splendida) descrizione del villaggio il macro-tema del western: l’opposizione di civiltà e “wilderness”, il mondo selvaggio; il film è costellato di momenti che richiamano John Ford (come il classico tema fordiano del ballo campestre quale momento-simbolo della comunità, per cui è appropriato che la crisi colpisca proprio allora).
E’ subito evidente che “The Village” è una descrizione della Caduta. Ritorna l’angosciata questione puritana dell’origine del male e della possibilità di separarsene fondando una comunità di Santi (siamo alle origini del mito americano). Il villaggio è un nuovo Eden, che non conosce il denaro e vive nel mito negativo della Città malvagia oltre il bosco.
Solo che risulta impossibile escludere la colpa dalla comunità. “Ci sono dei segreti in ogni angolo di questo villaggio”, dice il giovane Lucius alla madre. Parla della repressione dei “gesti”, ovvio riferimento carnale. Infine il pazzo Noah pugnala Lucius per gelosia della sua amata Ivy. Ecco, il rosso c’è anche all’interno della comunità: ce l’abbiamo sotto la pelle: e ora emerge, non simbolicamente (un fiore) ma come il rosso-in-sé, il sangue sulle mani di Noah e sulla veste di Ivy che ha scoperto il corpo.
Qui scopriamo che i mostri sono un complotto degli Anziani per creare una comunità felice tramite l’isolamento (la delusione che proviamo va intesa come omaggio all’abilità di Shyamalan di costruire la paura); c’è una stupefacente somiglianza con un misconosciuto capolavoro satirico della narrativa americana, “I testimoni di Joenes” di Robert Sheckley (1962). La scoperta non annulla affatto il substrato mitico del film; solo lo ridefinisce spostandolo all’interno del progetto degli Anziani (ricordiamo che la bandiera gialla è il simbolo degli appestati e della quarantena). E la seconda sorpresa - la collocazione temporale odierna - ci dice che quella dimensione fordiana è volontaria: il passato come dimensione mitica. Svelandoci questo esperimento sociale dalla celata crudeltà “cambogiana”, il film diventa una perspicace riflessione sull’Utopia.
In tutto il suo cinema Shyamalan non può fare a meno del meccanismo del rovesciamento narrativo, perché consono alla sua estetica barocca (infatti ne manca solo il suo film meno riuscito, “Signs”); ma solo “The Village” sa trasportarlo sul piano concettuale. Anche per questo è il suo miglior film.

(Il Nuovo FVG)

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