lunedì 7 gennaio 2008

Hero

Zhang Yimou

Non era difficile prevedere che Zhang Yimou sarebbe arrivato ai wuxiapian, ovvero i film cinesi in costume di spadaccini e duelli. Molti segni nella sua carriera indicavano la sensibilità adatta: il romanticismo e il massimalismo del racconto (vedi ad esempio il sottovalutato “La triade di Shanghai”), la potente costruzione scenografica (come non citare “Lanterne rosse”), l’abile uso dei movimenti di massa (“Vivere!”), e ovviamente quella sensualità del colore che attraversa tutto il suo cinema: ora esplosiva e dispiegata (“Ju Dou”), ora sottesa e nascosta (“La storia di Qiu Ju”, “Non uno di meno”).
E al wuxia Zhang è arrivato, con lo splendido “Hero”, che esce in ritardo in Italia. Ci si guardi dal rischio di apprezzarlo solo per l’estremismo e l’eleganza dei suoi duelli! Sono certo eccellenti, risolti in immagini di pura bellezza (per inciso, nel duello sul lago, col bellissimo particolare della goccia che vola come una lacrima sulla guancia della donna morta, ritroviamo la scena gustosamente parodiata in “Truth or Dare” di Barbara Wong, visto quest’anno al Far East Film). Ma l’eleganza coreografica e l’oltranzismo (i “voli” dei duellanti) sono da decenni l’essenza dei wuxiapian, che tendono a risolvere il combattimento in puro movimento fantastico, mediante il “wirework” (i fili) e il montaggio e infine il computer. In questo Zhang non aggiunge molto alla grande lezione di King Hu, Tsui Hark, Andrew Lau e quant’altri.
In “Hero”, come in tutti i grandi wuxia, i combattimenti non sono che il filo con cui Zhang intesse un racconto di amore, sacrificio, destino, moralità - con un romanticismo estremo che il cinema occidentale aveva dimenticato e adesso sta riscoprendo proprio tramite il cinema orientale (vedi il decisivo “Kill Bill” di Quentin Tarantino). Un magnifico cast di grandi attori cinesi (Maggie Cheung, Tony Leung Chiu-wai, Jet Li, Zhang Ziyi, Chen Daoming, Donnie Yen) si staglia in una dimensione epica potente e commossa. In questo film altamente enfatico e spettacolare, una lacrima improvvisa sul volto del Re di Qin ha più peso sullo schermo che lo scontro di due eserciti.
Questo dramma dalla stupefacente bellezza visuale si basa su una superba concezione visiva e scenografica, ariosamente paesaggistica negli esterni, massiccia e totalitaria nel palazzo del Re. Zhang sfrutta al massimo la potenza drammatica dell’inquadratura centrale e bilanciata. Come un’architettura umana, il movimento geometrico e compatto delle masse (a volte moltiplicato al computer) non richiama solo momenti del cinema cinese ma anche Leni Riefenstahl (e naturalmente il “riefenstahliano” George Lucas).
E’ fondamentale - né ci stupisce, trattandosi di Zhang Yimou - il sistema coloristico del film. Che va inteso sui due piani. Da un lato, come pura sensualità coloristica. Il duello nel bosco fra le spadaccine Maggie Cheung e Zhang Ziyi, con le foglie morte agitate dalla loro energia vitale, in un giallo dorato che diventa rosso alla morte della perdente (affascinante il gioco tra immagine soggettiva e oggettiva). Il lenzuolo viola di un’unica folgorante scena di sesso, visivamente castissima. I tendaggi verdi nel duello tra Tony Leung e Chen Daoming (il Re), con una meravigliosa asincronia fra la velocità degli uomini e la caduta al ralenti dei tendaggi tagliati.
Su un diverso livello il sistema coloristico è funzionale al racconto. A costo di svelare qualcosa della trama, bisogna spiegare che in “Hero” il modello sotteso è “Rashomon”, con tre diversi racconti in flashback dello svolgimento dei fatti: la menzogna, l’ipotesi, il racconto veridico: ed essi sono impostati su tre sistemi di colori (costumi e scenografie), prima rosso, poi azzurro, poi bianco, più il verde di un altro flashback interno, più la “cornice” del cupo blu/grigio dei soldati e cortigiani del Re di Qin. Non solo uno splendido balletto guerriero, non solo un capolavoro scenografico e coloristico, “Hero” è un’alta tragedia romantica e storica, politica e morale.

(Il Nuovo FVG)

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