lunedì 7 gennaio 2008

The Dreamers

Bernardo Bertolucci

Un discorso adeguato sul magnifico film di Bertolucci “The Dreamers - I sognatori” dovrebbe toccare più punti: ad esempio la sua descrizione insieme partecipe e critica del ’68, la giovinezza, il senso di onnipotenza infantile. Ma qui lo spazio costringe a limitarsi al rapporto fra i tre giovani protagonisti, Matthew e i gemelli Isabelle e Théo - il cui incesto è intellettuale più che fisico: sono uno specchio narcisistico l’uno per l’altra. In un litigio Matthew grida: “Vorrei che poteste uscire fuori di voi stessi e poteste vedervi... Voi non crescerete mai”.
Ricorre in Bertolucci (“Ultimo tango a Parigi”) il tema del rapporto erotico in un ambiente chiuso, che diventa centripeto e autodistruttivo, conduce (in “The Dreamers”, letteralmente) al soffocamento. Nell’appartamento del trio lo spazio psicologico e poi fisico si restringe progressivamente. Dapprima esso è un normale nucleo della metropoli; Matthew ci va in visita in giacca salutando i genitori dei gemelli. Partiti i genitori, l’appartamento diventa un eremo che ingloba e trattiene i tre. Infine si riduce alle dimensioni della tenda eretta in salotto. Più in là c’è solo il soffocamento del suicidio col gas.
Ma un sasso rompe il vetro e disperde il gas: “la rue est entrée dans la chambre”; la manifestazione che segue (slogan scandito: “Dans la rue!”) rinforza l’opposizione camera/strada. Uscire “dalla” camera “nella” vita: per questo Maria Schneider in “Ultimo tango a Parigi” uccideva Marlon Brando.
Peraltro entrando in quella spirale erotica Matthew si è salvato da un limbo di non-comunicazione. Il discorso sull’iniziazione è fondamentale nel film, che come “Io ballo da sola” è una divagazione sulla verginità. Poeta dei corpi, Bertolucci con la sua macchina da presa ruba incantato la perfezione irrevocabile e transeunte della bellezza giovanile: “Stealing Beauty” (è il titolo inglese di “Io ballo da sola”). E il sesso, gli odori, gli umori, toccati annusati assaggiati, vengono cinematograficamente “enunciati” con una nettezza rara e stupefacente (vivezza del primo rapporto sessuale fra Matthew e Isabelle! L’oscenità metaforica delle uova fritte da Théo, il bacio col viso impiastricciato del sangue della verginità).
Matthew cresce, e così Théo e Isabelle: narrato in voce over, “The Dreamers” è un Bildungsroman, un romanzo di formazione. Quella tenda è un utero, e il racconto è il processo di una nascita. Ovviamente, quella che risolve il film è la morte simbolica propria dei riti di passaggio (basta il dettaglio della tenda per capirlo): che rappresenta, precisamente, una rinascita.
Il cinema - enunciato attraverso uno splendido apparato di citazioni filmiche - definisce la percezione dei tre cinefili protagonisti: i film visti costituiscono la “grande coscienza” cinematografica che media la realtà. Sul che Bertolucci è ambiguo: all’inizio Matthew si siede sempre al cinema in prima fila (bellissimo il discorso su questo mezzo dei cinefili per essere i primi a ricevere le immagini che arrivano vergini dallo schermo); però quando convince Isabelle a venire al cinema con lui senza Théo, rompendo la coppia, insiste perché si siedano in ultima fila.
In strada poi, è il ’68, la vita diventa cinema. Ma pure il cinema diventa vita. Vedi il grande finale con la carica della polizia (sulle note di “Je ne regrette rien”): lo sfondo vuoto lasciato aperto alla vista dopo tanto rumore e furore dà l’impressione di un fermo immagine (non lo è); questi poliziotti si scagliano alla carica “contro” l’occhio della macchina da presa (ce n’è uno che visibilmente scarta); la m.d.p. “urla” la sua presenza. Anche questo esterno conclusivo è mise en scène. Il rapporto fra realismo e artificio della messa in scena è uno dei nodi del cinema di Bertolucci (tocca un punto alto in “Novecento”). Come dire: il cinema non può evitare di essere cinema. Ma questo non ha importanza perché l’emozione cinematografica - la “presenza” del cinema - è più vera del vero. Solo il cinema sopravvive ai nostri ricordi.

(Il Nuovo FVG)

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