martedì 8 gennaio 2008

L'uomo senza passato

Aki Kaurismäki

“Amatevi l’un l’altra come vorreste amare voi stessi, sta scritto”. Sentiamo questa citazione evangelica nell’ultimo splendido film di Aki Kaurismäki, “L’uomo senza passato”: citazione evangelica oltraggiosamente, comicamente, kaurismäkianamente apocrifa. Però, a pensarci, qui senza parere Kaurismäki ci dà la base del suo codice spirituale e morale. L’amore salva.
La Finlandia di Kaurismäki è vuota, fredda, morta, come la luna che il protagonista Markku Peltola racconta a Kati Outinen di aver visitato (“Hai trovato qualcuno?” - “Veramente no. Sai, era domenica”). In questa Finlandia simile a una terra di zombi (quanto lontana, per esempio, dalla nobile Finlandia combattente di “Pagine dal libro di Satana” di Dreyer!), creature spente senza amore né per gli altri né per sé vagano rassegnate in una specie di dopo-morte. Una disperazione universale ha irrigidito le anime.
Ma a volte basta qualcosa di molto piccolo per farle rifiorire, sotto quella maschera d’impassibilità che tutti i personaggi kaurismäkiani si portano addosso; basta un niente per (provvisoriamente?) rinascere. Può essere anche il passaggio a un moderato rock’n’roll per i suonatori dell’Esercito della Salvezza, inaspettato co-protagonista del film (dove la cantante è Anniki Tahti, vecchia gloria della canzone finlandese, e l’occhialuto comandante è Peter Von Bagh, critico e storico del cinema - e vecchio amico del Far East Film). Ora, basterà usare il termine bressoniano di Grazia per ricordarci quanto Kaurismäki sia rimasto fedele, nella diversità degli stili e degli esiti, al suo maestro Robert Bresson.
Dunque “L’uomo senza passato” è la storia di una rinascita, in senso quasi letterale, se pensiamo che il protagonista all’ospedale è giudicato morto (anche dagli strumenti) e poi si rialza come Lazzaro. E’ solo logico che la rinascita si esprima - che lo Spirito soffi - fra gli emarginati: perdere tutto, perdersi, è un buon modo per ritrovarsi. Markku Peltola, picchiato dai teppisti, ha perso la memoria e, senza neppure sapere come si chiama, si crea una vita fra i baraccati di Helsinki, dove è un agricoltore di successo per il suo raccolto di 8 patate (il sublime dialogo in cui rifiuta la proposta del vicino, possessore di una cipolla, di farci una zuppa richiama il mondo lunare dei vecchi cartoon americani: Felix the Cat l’avrebbe capito). Nasce anche un pudico amore con Kati Outinen, scialba militante dell’Esercito della Salvezza: storia d’amore magnifica e commossa proprio per quella riduzione al minimo ch’è caratteristica del cinema di Kaurismäki. Tutto il cinema del regista finlandese si basa sul dialogo fra astrazione e una concretezza così immediata da riuscire straziante.
A questa astrazione appartiene l’impassibilità “deadpan” dei personaggi. Ai suoi attori Kaurismäki chiede uno stile interpretativo antipsicologico: una recitazione quasi epica. Essa, oltre a rappresentare uno strumento ben vantaggioso per lo humour surreale di Kaurismäki, conferisce una risonanza stupefacente alle sue passioni trattenute sotto la maschera. E si lega con le costanti del suo stile di regia: la frugalità del linguaggio cinematografico, con inquadrature sobrie al massimo e pochi movimenti di macchina, non senza infrazioni alle regole classiche, come qui un intenso sguardo in macchina di Kati Outinen. Uno stile arcaizzante, anche sul piano del racconto (narrazione molto staccata, come per quadri); merita ricordare che Kaurismäki ha girato nel 1999 “Juha”, l’ultimo film muto del secolo. Il montaggio è sempre secco, vieppiù in questo film dov’è brusco come una fucilata (a volte sfiora volutamente la bruttezza). Così l’astrazione di Kaurismäki sfocia nell’“evidenza fredda” dell’iperrealismo - e parlando de “L’uomo senza passato” dobbiamo sottolineare l’iperrealtà dei suoi colori vagamente smaltati.
Un cinema diverso da tutti gli altri, un cinema “parametrico”, non diversamente da quello di un David Lynch o di un Lars Von Trier. Il grande cinema di Aki Kaurismäki.

(Il Nuovo FVG)

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