lunedì 7 gennaio 2008

Looney Tunes Back in Action

Joe Dante

Già sospettavamo che nella ditta Acme - quella che fornisce al Coyote i marchingegni sempre fallimentari per abbattere lo struzzo Mi-Mi - ci fosse qualcosa di losco. Ora apprendiamo che il Presidente della Acme è uno psicopatico che vuole conquistare il mondo trasformando tutta l’umanità in scimmiette.
Incrociando personaggi disegnati - quelli dei cartoni della Warner Bros. - e attori in carne e ossa, “Looney Tunes Back in Action” è realizzato in dichiarata opposizione al modesto “Space Jam” di Joe Pytka, mentre invece risulta chiaramente derivativo - ai limiti del plagio - rispetto al capolavoro “Chi ha incastrato Roger Rabbit” di Bob Zemeckis. All’interno d’una divisione del popolo cartoonistico Warner in buoni e cattivi, agenti della Acme, non ci stupiamo di trovare fra questi ultimi il Coyote, il marziano, il diavolo di Tasmania, Taddeo e l’indimenticabile Yosemite Sam. Contro di loro si battono Bugs Bunny e Daffy Duck (c’è chi scrive Duffy ma sbaglia, visto che è il diminutivo - lo sapevate? - di Daffodil). Daffy all’inizio, stufo di essere quello che le prende sempre nei cartoon, si è fatto licenziare dalla Warner; Bugs Bunny è andato a recuperarlo, ma si trovano invischiati a fianco di Brendan Fraser per sventare la cospirazione internazionale.
Sulla carta suona benissimo, e quando si pensa che il regista è Joe Dante, suona ancor meglio. Il problema è: come mai il film lascia una impressione di freddezza e di disappunto, tanto da doversi considerare un’altra occasione mancata?
Non solo per un casting “umano” inappropriato (Brendan Fraser, bolso e ingrassato, non ha una briciola dello humour de “La mummia”; Steve Martin, esagitato nella parte del Presidente, una volta tanto non diverte). Aleggia sul film uno spirito comico volonteroso e forzato; “Looney Tunes Back in Action” è purtroppo un fuoco artificiale con le polveri bagnate. La causa è la sceneggiatura poco divertente di Larry Doyle. Che ha lavorato per “I Simpson”, ma qui si trovava di fronte ad altre esigenze. Doyle scrive come un bravo ragazzo appena uscito dall’università dove si è laureato sui cartoon classici Warner; li conosce bene ma non basta: per rifarli bisognava essere un figlio di puttana come i loro anarchici autori, Avery, Clampett, Freleng, Tashlin, Jones.
Infatti il film non riesce a ricreare, di quei vecchi cartoon, la comicità radicale e violenta, la cattiveria sadica, l’arguzia delle metafore visualizzate, lo spirito primitivo e selvaggio (in “The Daffy Doc” di Clampett la sventurata anatra finiva con la testa dentro il polmone d’acciaio in un ospedale, e il suo corpo si espandeva e si sgonfiava mostruosamente a ritmo di respiro!). Così “Looney Tunes Back in Action” appare formalmente fedele ma imitativo e svirilizzato, come certi rifacimenti di arte primitiva fatti dai contemporanei.
Anche fuori dai paragoni storici, l’umorismo del film è gentile e deboluccio, e la sua concezione metacinematografica (del resto già largamente presente nei vecchi cartoni animati) non è certo una novità. Graziosi sono alcuni scherzetti in secondo piano (Daffy con la foto di Nixon: avevamo sempre pensato che votasse repubblicano). La scena migliore, la sola geniale - e quindi la sola degna dei cartoon Warner - è quando al Louvre i nostri eroi si inseguono “dentro” un quadro di Dalì con gli “orologi molli” che li trasforma rendendoli lenti e mostruosi (segue un’altra pagina spiritosa sul divisionismo di Seurat). Da segnalare anche una bella parodia in b/n della scena della doccia di “Psycho”, in cui Joe Dante mischia più fanaticamente che mai cartone animato e foto reale.
Questa scena e ancor più quella dell’assemblaggio del cane meccanico ricordano il miglior Dante in questo campo: ossia la sua realizzazione di un effetto simile al cartoon ma avvalendosi solo della fotografia reale, nel suo episodio di “Ai confini della realtà” (1983). Allora questo buon regista oggi un po’ offuscato aveva meno mezzi - ma uno spirito più vivace.

(Il Nuovo FVG)

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