Chris Sanders e Dean DeBlois
Recensione in pillola: Stitch è molto più simpatico di E.T.!
Ma converrà spiegarsi, a costo di allungare la recensione di qualche riga. Il cartone animato “Lilo & Stitch”, diretto da Chris Sanders e Dean DeBois, è l’ultima produzione Disney. Una gigantesca civiltà galattica scopre che un esperimento genetico proibito ha prodotto un mostriciattolo blu a sei zampe, con una gran bocca dentuta, “incrocio fra un cagnolino e un Pokemon” (Paolo Lughi), pressoché invulnerabile e pieno di istinti distruttivi. Il piccolo mostro sfugge alla sorveglianza e atterra sul nostro pianeta (vietato agli extraterrestri in quanto riserva naturale della specie in via d’estinzione delle zanzare!), alle Hawaii. Qui - scambiato per un cane particolarmente brutto - fa amicizia con Lilo, “bambina difficile” orfana che vive con la sorella maggiore. Ma le forze della burocrazia sia nostrana che extraterrestre sono in agguato: l’assistenza pubblica vuole portar via Lilo alla sorella, la federazione galattica vuole rimettere le mani sul temuto Stitch.
Questo film di trascinante simpatia è una parodia “cattiva” di “E.T.”. Apposta “cattiva” è scritto fra virgolette: si tratta di un film Disney, cioè un cartoon dei buoni sentimenti (niente a vedere con la vera cattiveria per esempio del geniale “South Park” di Trey Parker); è cattivo nel senso del finto cattivo. Stitch è un distruttore di natura, una bestiaccia umoristicamente sgradevole (artigli e dentoni, parolacce in linguaggio galattico, sputi); ma viene trasformato all’interno di una politica dell’affetto e della famiglia, che sta al centro del sistema morale del film (ne impariamo anche il termine hawaiano, “ohama”). Stitch rappresenta in termini umoristici quel bisogno di sentirsi “cattivo ma buono”, tipico dello stato adolescenziale, che è un richiamo forte nello spettacolo cinematografico. Nella concezione disneyana, la solitudine incattivisce il cuore ma conoscere l’amore fa emergere la naturale bontà: è la vecchia storia della Bella e la Bestia; una forma di “recupero sentimentale” ch’è appunto un luogo classico del cinema, e dei cartoni animati in particolare (lo realizza con grande abilità anche il miglior cartoon americano contemporaneo, “I Simpson” di Matt Groening).
All’interno di questa dialettica è divertentissimo vedere Stitch che è affascinato come E.T. da un vecchio film in tv, solo che qui non sono baci, è uno di quei film dei ’50 con l’insettone gigante che distrugge la città (è “Tarantola” di Jack Arnold; ne vediamo un frammento “reale” in b/n all’interno del cartoon); o che appare, suprema citazione del cinema “cattivo”, armato di motosega. La sceneggiatura è spiritosa, bene intessuta, con gustosi tocchi di commedia sul piano del dialogo (grande l’episodio in cui Lilo fraintende i segni che le fa la sorella alle spalle dell’agente dell’assistenza), e ricca di piacevoli citazioni: a un certo punto della cronaca dei disastri combinati da Stitch c’è pure un riferimento ironico a “Baywatch”! E’ un’idea geniale quella di intessere lungo tutto il corso del film un omaggio a Elvis Presley, musicalmente ma non solo. Vediamo perfino il mostriciattolo fare l’imitazione di Elvis, ed è qualcosa da vedere.
Sul piano tecnico “Lilo & Stitch” è interessante anche perché si situa dichiaratamente in controtendenza rispetto alla moda attuale dell’animazione digitale. Qui l’uso della computergrafica, pur presente, è come nascosto all’interno di uno stile grafico “old-fashioned”; più che a Stitch e agli altri extraterrestri penso ai personaggi umani, figure disegnate con un tratto marcato e arrotondato: una scelta classicheggiante che può comportare grossi rischi (li esemplifica, in casa Disney, il bruttissimo “Pocahontas”) ma che qui produce risultati eccellenti, anche grazie a un ottimo lavoro sulle espressioni. Ancora più classici sono gli sfondi all’acquerello, pura “Disney d’antan”. Questo film è un notevole risultato nel tentativo non facile di conciliare contemporaneità e tradizione del cartoon.
(Il Nuovo FVG)
martedì 8 gennaio 2008
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