Ralph Zondag ed Eric Leighton
Non è difficile capire da dove viene l’idea originale di “Dinosauri”, il notevole nuovo cartoon della Disney, realizzato in computer graphics: dal famoso segmento della “Sacre du printemps” di Stravinskij in “Fantasia” coi dinosauri in marcia attraverso il deserto minacciati di estinzione. Nel presente film, il composito branco in marcia deve raggiungere la valle verde conosciuta come la “zona della cova”, sfuggendo all’insidia della sete e ai predatori: i velociraptor e i carnotauri (simili a tirannosauri cornuti), i quali procurano diverse belle pagine del tradizionale horror disneyano, anch’esso un classico (che hanno già fatto levar voce ai club del parassitismo mediatico e ad un ragguardevole rappresentante di quella Sinistra Imbecille che non coincide necessariamente colla sinistra in sé, ma se n’è impadronita e la conduce verso un’estinzione proprio dinosauresca).
“Dinosauri” è un bel film, a tratti emozionante, che si segnala in particolare per la realizzazione grafica sbalorditiva: il realismo dei suoi dinosauri è decuplicato dal loro muoversi con naturalezza su sfondi autentici (magari rielaborati al computer ma di innegabile evidenza fotografica). Parlando di realismo, non si può non notare un forte iato fra la prodigiosa sequenza iniziale e il resto del film. Nel prologo, un uovo di iguanodonte rubato da un piccolo predatore “viaggia” fortunosamente prima rotolando, poi sott’acqua, poi in volo in bocca a una sorta di pterodattilo, col che ci è offerto un vertiginoso tour concentrato nel mondo della preistoria. Poi l’uovo finisce in mezzo a una famiglia di lemuri (clamoroso anacronismo!), parlanti e umanizzati, dai quali Aladar sarà allevato (ritroviamo il classico tema disneyano dell’abbandono da parte della madre e dell’orfano cresciuto da una famiglia adottiva; non per nulla il precedente cartoon Disney è stato “Tarzan”). Qui finisce il realismo, tutto natura e strida, del prologo; dopo, “Dinosauri” è un altro film; non per questo più bello o più brutto: solo diverso.
Trionfa l’umanizzazione disneyana - potremmo anche dire, l’americanizzazione disneyana: l’iguanodonte Aladar è fondamentalmente un boy-scout americano (del resto in una scena mediocre perfino i riti di corteggiamento delle proscimmie sono assimilati al “dating” degli adolescenti USA). E’ interessante la distinzione che il film pone fra i dinosauri stessi. Quelli del branco sono persone (salvo uno che fa da cagnolino): parlano, provano sentimenti, hanno un nome, mettono perfino a confronto diverse filosofie della vita. Il capo Cron è un darwiniano ante litteram intriso di realismo militarista; Aladar è portatore del solidarismo disneyano, costruttivo e un po’ buonista (“Ci vuole spirito di squadra”): l’unione fa la forza perfino per intimidire un carnotauro muggendo in coro. I dinosauri predatori invece appaiono come animali selvaggi: non ragione ma pura ferocia, non parlano ma stridono (i raptor) o ruggiscono (i carnotauri). Una sorta di “nature vs. culture” che indubbiamente fra dinosauri appare un po’ delirante. C’è perfino una storia d’amore, anche se bisogna ammettere che i giovani iguanodonti Aladar e Neera sono espressivi ma non abbastanza attraenti per stimolare lo spirito romantico.
Un difetto del film è la sua carenza di humour. Ci sono dei vaghi tentativi in tal senso: in particolare, la figura dell’amico lemure scarruffato realizza in modo poco convinto il tipico “compagno comico” disneyano. Le due vecchie signore dinosaure sono figure riuscite, ma non comiche in senso stretto. Manca in ”Dinosauri” quell’umorismo di toccata, di accenno, di sfondo ch’era una caratteristica dei lungometraggi Disney. Orbene, quando il branco di dinosauri entra nella valle verde, c’è una bella inquadratura di alcuni anatosauri o simili (dinosauri dal becco d’anatra), dall’espressione buffa, che avrebbero potuto offrire efficaci spunti di comicità. Possibile che in casa Disney un becco d’anatra non suggerisca più niente?
(Il Nuovo FVG)
martedì 8 gennaio 2008
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