martedì 8 gennaio 2008

Blade II

Guillermo Del Toro

“La felicità è un cucciolo caldo”, diceva Charlie Brown nei “Peanuts”, ed è anche vero - ma un adrenalinico film “action-horror” in cui un cacciatore di vampiri fa fuori i succhiasangue in tutti i modi possibili a ritmo di rap (e i vampiri morendo esplodono come fuochi artificiali)... volete mettere?
“Blade II” - un buon prodotto USA diretto dal messicano/hollywoodiano Guillermo Del Toro - fornisce allo spettatore quello che il recente “La regina dei dannati” di Michael Rymer non era riuscito a dare: una concezione compattamente “dark/camp”, che lo rende assai piacevole da vedere. L’elemento più fascinoso nella storia del nero Blade (Wesley Snipes), cacciatore di vampiri e mezzo vampiro rinnegato, che qui deve allearsi coi propri nemici per combattere una razza di mutanti ancora più pericolosa per uomini e vampiri insieme, è l’aspetto “graphic”, il disegno complessivo dell’universo, legato a quello stile clip che trionfa nel cinema americano (“Matrix”) e sviluppato con vero gusto. La scenografia postmoderna di Carol Spier e i costumi di Wendy Partridge, ben supportati sul piano tecnico da fotografia e montaggio, modellano “Blade II” secondo una concezione grafico-architettonica ampia e coerente: il film ha una netta unità visuale - e non solo visuale, perché c’è una cura particolare del sonoro in relazione al visivo: si potrebbe dire per metafora che in “Blade II” il suono “riecheggia” l’architettura.
Il film è molto divertente per la sua elaborazione di una “cultura vampirica” - nella sceneggiatura di David S. Goyer - che è fondamentalmente una esagerazione “camp” della cultura pop metropolitana (i tatuaggi, i graffiti, le discoteche promiscue, i simboli gangsteristici del potere). “Camp” è pure l’acido humour presente nel film. Quando Blade chiede a un accolito dei vampiri se sia umano quello risponde “Poco... sono avvocato”; e la task force di vampiri combattenti si chiama l’Emo-branco (un plauso, per una volta, alla traduzione italiana).
Ma il film stesso può essere visto come una esagerazione “camp” della cultura cinematografica popolare dei pistoleri negri degli anni sessanta, che allora si chiamava “blaxploitation”, e che ha conosciuto un ritorno di fiamma intriso di citazionismo cinefilo negli ultimi anni. Quanto a influenze, la figura di Blade come temuto “Uomo Nero” dei vampiri può farci pensare a “Io sono leggenda” di Richard Matheson, mentre la concezione dei mostri sembrerebbe debitrice in qualcosa alla serie “Necroscope” di Brian Lumley (inedita in Italia salvo il primo). Invece il fumetto Marvel da cui è tratto il personaggio influisce meno di quanto si potrebbe pensare (anche un accenno tipicamente fumettistico come la “Blademobile” è appena accennato e abbandonato).
Siccome Guillermo Del Toro possiede una propria individualità nel campo del cinema fantastico, si rischia di attribuire interamente a lui la compattezza e lo stile “graphic” di “Blade II”. Invece sul piano visuale e su quello narrativo va detto che questo film si inserisce pienamente nella scia del primo “Blade”, diretto da Stephen Norrington, e sempre sceneggiato da David S. Goyer. La forza di questa serie cinematografica è proprio la coerenza (il piacere) nel costruire l’universo diegetico dietro al racconto.
A Del Toro, e al secondo film della serie, non andrà però riconosciuta solo l’abilità nel potenziare la costruzione stilistica del primo. E’ interessante come il concetto di mutazione genetica che sta alla base di “Blade II” ricordi direttamente il film più noto di Del Toro, “Mimic” (che non era scritto da Goyer). Di più, esiste un’inquietante somiglianza anche sul piano strettamente visivo fra gli scarafaggi pseudoumani di “Mimic” e i “mietitori” del presente film, pseudo-vampiri talmente mostruosi da terrorizzare i vampiri stessi (la scena dell’autopsia di uno di questi mostri è una gemma!). E’ lecito concludere che ci troviamo qui davanti a una ossessione del regista - utile per ricostruire una personalità autoriale.

(Il Nuovo FVG)

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