sabato 12 gennaio 2008

L'era glaciale

Chris Wedge

Dopo un decennio di magra, in cui al massimo (e neanche sempre) si poteva elogiare il Disney natalizio, viviamo un periodo felice per il lungometraggio a cartoni animati occidentale, che sfrutta le grandi possibilità del computer. Sembra quasi che non faccia in tempo a uscire un lungometraggio di valore che ne compare un altro; così, siamo ancora presi dal ricordo del bellissimo “Monsters & C.” di Pete Docter che arriva il notevole “L’età glaciale”, prodotto dalla Twentieth Century Fox e diretto da Chris Wedge.
Questo cartoon, meno ricco sul piano produttivo, non farà progredire lo “state of the art” come il procedente, ma è indubbiamente piacevole e grazioso. Il carattere leggermente stilizzato degli sfondi avrà a che fare col budget, ma è funzionale e talvolta per alcuni tratti - vedi la comica, esagerata catastrofe che apre il film - ricorda piacevolmente la grande epoca della stilizzazione del disegno animato, gli anni ’50. “L’era glaciale” è anche più elementare dei raffinati “Shrek” o “Monsters & C.” come struttura narrativa; qui non ci sono particolari invenzioni base o rovesciamenti dei luoghi comuni del racconto: è la cronaca del viaggio nelle terre invase dal ghiaccio - l’era glaciale sta avanzando - di un mammut, un bradipo e una (poco affidabile) tigre dai denti a sciabola, che portano in salvo un neonato umano e lo restituiscono al padre. Ma su questa base non eccessivamente originale il film sa intessere un racconto vivo, ben ritmato, ricco di piacevolezze e anche di sorprese. Per esempio la pagina degli animali antichi (rispetto all’epoca del racconto) conservati nel ghiaccio, che appaiono agli occhi stupiti del bradipo, è un tocco deliziosamente inquietante. La grande scivolata nelle caverne di ghiaccio è (come in tutti questi cartoon al computer) un capolavoro di “timing”. Oppure possiamo citare il divertentissimo episodio, assai mosso, di quella memorabile congrega di stupidi che sono i dodo.
Il cartoon si regge su un bel gioco di caratteri. Il bradipo Sid, il primo attore di questa commedia avventurosa di gruppo, è l’ennesima incarnazione di una maschera fissa del cartoon americano (la penultima era stata il ciuchino di “Shrek”): il compagno non voluto, loquace e invadente, che si appiccica a un riluttante protettore (qui il mammut Manfred) ed è detestato all’inizio e amato alla fine. Come sempre viviamo nell’eterno presente di tre americani d’oggi proiettati sotto pelame animale nella preistoria. Il vivace gioco verbale di rimpalli fra i tre è pura “screwball comedy”, molto ben scritta, con un uso intelligente dell’anacronismo verbale (il mammut chiede irritato al bambino, che sta giocando con la sua proboscide, se l’ha preso per un peluche). Ma parlando di dialogo le battute migliori si possono sentire all’inizio, nella sfavillante scena della grande marcia degli animali verso sud: gli animaletti che si lamentano penosamente in mezzo al fango, e poi arriva il papà e gli dice di smettere di giocare all’estinzione, non ce li dimenticheremo.
Se la tigre dai denti a sciabola Diego risulta piuttosto statica come espressione del muso, il bizzarro bradipo Sid, con gli occhi sporgenti ai due lati della testa, è un risultato felice anche nella caratterizzazione fisica; ed è stupefacente il mammut Manfred perché stranamente i suoi occhi (sempre inquadrati per ovvie ragioni dal basso in alto) hanno una imprevista, commovente espressività (si tratta del personaggio più doloroso della storia, come ci mostra un flashback attraverso la bella soluzione grafica dell’animazione dei graffiti preistorici). Peraltro il personaggio più straordinario di tutti è un proto-scoiattolo muto, fanaticamente attaccato alla sua ghianda, che interlinea l’avventura dei nostri eroi, ed apre e chiude il film. Così riuscito che ben potrebbe (è già successo in passato: per esempio la Pantera Rosa nacque come cartoon illustrativo dei titoli di testa dell’omonimo film) separarsi dal contesto e vivere in futuro una vita a sé.

(Il Nuovo FVG)

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