Paolo Sorrentino
Due talenti in primo piano escono dal giovane cinema italiano: Matteo Garrone e Paolo Sorrentino; e il secondo film di quest’ultimo è anche più convincente del notevole “L’uomo in più”. Il bellissimo “Le conseguenze dell’amore” si apre (e si svolge in larga parte) in un albergo svizzero. Fuori esterni gelidi, dentro una luce più calda - ma impersonale (la tersa, funzionale, straziante fotografia è di Luca Bigazzi). Un rumore in strada attira gli sguardi da dietro le vetrate: il pesante clop-clop di zoccoli annuncia il passaggio, forte anticipazione simbolica, di un carro funebre a cavalli.
Un ruolo non dissimile ha la frase “Ci vuol coraggio a morire in modo rocambolesco”, che sentiamo da Raffaele Pisu, interprete di un importante ruolo secondario. E’ una prova del valore di Sorrentino che un film così spostato sul lavoro interiore, psicologico, non alieno dal simbolismo, intessuto di anticipazioni e “mises en abyme” verbali, si fissi nondimeno nel nostro ricordo in termini di realismo. Il nome di Kieslowski, già speso dalla critica in occasione de “L’uomo in più”, qui entra in modo più intrinseco e convincente.
Ci sono ritratti che urlano impietosamente una psicologia (Goya); ci sono ritratti enigmatici che ci guardano da una lontananza invalicabile, che sembra frutto di una complicità fra il pittore e il suo modello. Di questo tipo è il ritratto d’uomo che fa Sorrentino (anche sceneggiatore) ne “Le conseguenze dell’amore”, ritratto nato dalla complicità fra il regista e Toni Servillo, eccezionale interprete-creatore: Titta Di Gerolamo, cinquant’anni, separato dalla moglie lontana, signorile, educato, distante, freddamente sentenzioso. Si dichiara scarso d’immaginazione, non sa cosa dire ai suoi figli quando gli telefona, si droga a ora fissa una sola volta alla settimana. Un uomo in ombra, confinato in quell’albergo svizzero dai suoi padroni di Cosa Nostra per punizione d’un vecchio errore, a sovrintendere ai riciclaggi di milioni di dollari.
Poi quest’uomo che ha posto uno spessore invalicabile tra sé e il mondo esterno s’innamora di una ragazza (Olivia Magnani), barista dell’albergo (Sorrentino ci regala di passaggio un memorabile frammento di discorso amoroso. “I timidi notano tutto ma sono molto bravi a non farsene accorgere” - “Notano tutto o notano me?”). “Le conseguenze dell’amore” comincia come “Marnie”: mostrando gli sguardi sessuali di uomini vecchi sulla gioventù. Tutto il film è giocato sullo sguardo, e la sua prima parte in questo senso è spettacolosa, quanto di meglio si vedeva da anni nel cinema italiano.
Nella sua illusoria nuova vita (riassumo uno sviluppo piuttosto complicato) l’uomo deruba la mafia. Non è realmente per fare dei regali alla donna: piuttosto il suo è un modo di mettere sul tavolo la propria vita per dono. Il gioco, il bluff, il barare sono un tema fisso del film (s’incarica di portarlo in primo piano la potente storia parallela dei due vecchi, Raffaele Pisu e Angela Goodwin: confermando “L’uomo in più”, Sorrentino è bravissimo nello scorcio). Il martirio finale ha un valore di ambigua riabilitazione.
Il film brilla per bellissimi passaggi, opera dell’eccellente montaggio di Giogiò Franchini, che crea ellissi temporali da raccordi ingannatori. Importante notare come dalla prima alla seconda parte, che culmina nello spostamento in Sicilia, cambiano i ritmi, da una lentezza quieta e disperata a tempi veloci e nervosi - in sintonia col cambiamento segreto del protagonista, la paura che scava sotto la sua maschera di impassibilità. E colpisce, nel film di Sorrentino, la capacità di inserire all’interno di uno sviluppo psicologico un tema “esterno” come quello della mafia, abilmente delineata in toni di realismo grottesco (dettaglio sublime: il protagonista è convocato/processato dalla “Commissione” nella sala vuota di un convegno medico sull’Ipertrofia della prostata) che in poche immagini surclassa per densità tutte le “Piovre” del mondo.
(Il Nuovo FVG)
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