sabato 12 gennaio 2008

La cena dei cretini

Francis Veber

Si apre coll’immagine di un boomerang il gustoso “La cena dei cretini”, scritto e diretto da Francis Veber. Basta per dirci che il gioco vagamente sadico di Thierry Lhermitte finirà per ritorcersi contro di lui - come avviene.
Il gioco, la cena dei cretini, consiste nel farsi amico un “cretino ad alta definizione” e invitarlo a cena in modo da deliziare segretamente tutto il gruppo di complici. Siccome ciascuno di loro ne porta uno, Brochant (Thierry Lhermitte) è tutto contento perché ha scovato un esemplare raro, forse il campione del mondo dei cretini... Solo che la cretineria di Pignon (Jacques Villeret) è anche maggiore, e molto più pericolosa, di quanto il protagonista non s’immagini. Brochant è come uno che si avventurasse attorno al Reattore Tre di Chernobyl in maglietta e bermuda. Costretto da un infortunio in casa col “suo” cretino, si vedrà rovinare la vita intera in una notte, in una girandola di equivoci, gaffes, quiproquo, iniziative benintenzionate e devastanti. E sono le buone maniere e il buon parlare francesi, che coltivano tutti e due (il cretino è cretino, non grezzo), a dare al film il suo carattere così spassoso (vi immaginate cosa ne avrebbe fatto uno sceneggiatore italiano? Una fantozzata!).
Il film non nasconde la sua impronta teatrale (anche il fermo immagine finale è l’esatto equivalente del sipario). Mantiene una unità quasi classicista di azione , di tempo e di luogo, se eccettuiamo un prologo e poche di brevissime uscite dall’appartamento di Brochant (per lo più sul filo del telefono: infrange ciò realmente l’unità di luogo? Ecco un problema che Corneille non s’era posto).
In realtà “Le diner de cons” nacque come script cinematografico, ma, non accettato, diventò una fortunata pièce teatrale e da questa è stato ritradotto in film. Ce ne informa Fabiano Rosso su “Nickelodeon”, osservando anche giustamente che “cretino” non rende tutte le sfumature del francese “con” (che infatti nel film viene tradotto alternativamente “cretino” e, meglio, “coglione”. Nota bibliografica: sulla filosofia e la psicologia del “con”, si cerchi sulle bancarelle il monumentale romanzo di Sanantonio “Les cons”, in italiano “La saga dei Cojon”; e più in generale, è utile l’intera opera del geniale scrittore francese recentemente scomparso).
E’ teatro “boulevardier”, leggero, ma assai divertente, grazie a una sceneggiatura - viene da scrivere direttamente: una pièce - di ferro. Una “commedia da camera”, di quelle che il cinema francese fa così bene grazie all’eccellenza dei suoi interpreti (a proposito di cene, come non ricordare nello stesso genere “chiuso” l’ottimo “A cena con il diavolo” di Edouard Molinaro?). Anche questo film si regge su un doppio giuoco recitativo impeccabile (ben servito da eccellenti comprimari): la recitazione di mani e gli occhioni canini del grasso Villeret contro la compostezza e l’occhio chiaro e furbo, di cattiveria quasi innocente, del longilineo Lhermitte. La regia di Francis Veber, tradizionale e sotterranea, approfitta della sua scarsa visibilità per mettere in risalto il perfetto gioco teatrale di entrate e uscite, di palleggi e rimandi, di superba comicità.
Il film non sviluppa le possibili implicazioni dell’argomento (ovvero: la dimensione di paurosa prevalenza dei “cons”; il loro desiderio di vendetta, qui incarnato dal bel personaggio secondario dell’ispettore delle tasse; il concetto, appena adombrato alla fine, che, a un certo punto, siamo tutti “cons”). Si limita a evidenziare il concetto un po’ ovvio e prevedibile che anche i cretini hanno un’anima. Però - vedi l’esperienza teatrale francese - nel momento che stai notando dispiaciuto il fondo di moralismo conclusivo ch’è saltato fuori, ecco che il film con una beffa finale rovescia le carte in tavola, sputa su quella cucchiaiata di miele e ripropone l’assunto della disastrosità. Un “con” è sempre un “con”.

(Il Nuovo FVG)

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