mercoledì 9 gennaio 2008

Kill Bill - Volume 1

Quentin Tarantino

E’ il 1895: i fratelli Lumière stupiscono il primissimo pubblico cinematografico mostrando l’arrivo di una locomotiva, un muro abbattuto (e ricostruito proiettando all’inverso), le foglie che si muovono sullo sfondo del “pasto del bebè”. Il cinema nasce come golosità dello sguardo. Ecco qui la grandezza del capolavoro “Kill Bill - Volume 1”. Perché il concetto base del cinema di Quentin Tarantino è la bellezza: il cinema come meraviglia della visione.
Triplice magnificenza di “Kill Bill”: del racconto (tensione, robustezza, originalità, vivacità); del linguaggio filmico (varietà, invenzione, eleganza grafica); del tema, che è la vendetta. Ma due sono le incarnazioni della bellezza che abitano il cinema di Tarantino. Ovviamente, il fascino parossistico degli scontri, quale il gigantesco massacro alla spada in cui culmina il film: geometrici perfetti e impensabili come un cristallo di neve. Però l’incanto più alto in Tarantino sta nei suoi abbacinanti momenti di sospensione (non scordiamoci che la scena più bella de “Le iene” era quella iniziale della discussione oziosa in pizzeria). Assoluto splendore della semplicissima inquadratura dei piedi di Lucy Liu che (per avere più libertà nel duello) scivolano fuori dai sandali sul terreno innevato! O del dettaglio fortissimo degli occhi di lei nella pausa del duello!
Ciclopico e delirante “action movie” in due parti, meravigliosamente scritto, “Kill Bill” mette in scena la vendetta di Uma Thurman, the Bride, alias Black Mamba, contro la “Squadra assassina vipere mortali” (cui lei stessa apparteneva) e l’uomo che gliel’ha inviata contro nel giorno del suo matrimonio. Risvegliatasi dal coma, dopo aver fatto subire a due stupratori la fine che meritano lei parte per una rivalsa spietata al pari dello sguardo di Tarantino che la segue. Il racconto si muove in un elegante gioco di flashbacks e di anticipazioni: ai suoi classici giochi sul tempo - che culminavano nel meraviglioso “loop” kubrickiano di “Jackie Brown” - Tarantino non rinuncia, sebbene qui leggermente meno insistiti.
Con questo film Quentin Tarantino ha elevato un monumento alla propria memoria di cinefilo - che è anche la nostra: “Kill Bill” riflette e ingloba la totalità sfaccettata della cultura di massa, cinematografica e non. Ad esempio il combattimento di Uma Thurman con Vivica Fox richiama direttamente il cinema negro d’azione diffuso negli anni settanta, la cosiddetta “blaxploitation” (già celebrata da Tarantino con “Jackie Brown”). Lo scontro con O-Ren/Lucy Liu ci riporta al cinema d’azione orientale, per la precisione al “chanbara” giapponese coi suoi micidiali duelli alla spada. Mentre l’episodio precedente, “Le origini di O-Ren”, era interamente narrato in forma di “anime”, cartone animato giapponese (dove la pioggia di sangue nella normale esagerazione grafica non fa che anticipare le fontane di sangue, che vedremo in seguito, dagli arti troncati).
Naturalmente di questo apparato fanno parte integrante i volti familiari (magari non i nomi, ma i volti) di interpreti come Michael Parks, Jun Kunimura, Akaji Maro, Sonny Chiba. E la titolazione dei capitoli; un titolo come “Le origini di O-Ren” rimanda infallibilmente a un altro settore della cultura popolare, il fumetto stile Marvel, laddove “The Blood-splattered Bride” rimanda alla sfera cupa e sgargiante dei B-movies horror-thriller americani. O la “score” musicale... In “Kill Bill” - che si apre con un omaggio agli Shaw Brothers, padrini del cinema popolare hongkonghese - l’incrocio di riferimenti e subculture esplode in sfavillanti cortocircuiti: l’epigrafe “La vendetta è un piatto che si mangia freddo” è dichiarata “antico proverbio Klingon” (chi non lo sapesse, è un riferimento a “Star Trek”).
Insomma, come un Joyce delle “pratiche basse” Tarantino concentra e unifica nel giro relativamente breve del singolo racconto un’enciclopedia universale: “Kill Bill” è il suo “Ulisse”, di fiammeggiante genialità.

(Il Nuovo FVG)

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