mercoledì 9 gennaio 2008

The Cell

Tarsem Singh

“The Cell - La cellula” ci ha convinto che il nostro inconscio è un videoclip con Jennifer Lopez. Che peccato che siamo fuori e non “dentro”!
L’idea base del curioso e piacevole film di Tarsem Singh richiama alla mente una vecchia pellicola (1966) del bravo Richard Fleischer, “Viaggio allucinante”. In quel film alcuni ardimentosi venivano rimpiccioliti a grandezza infinitesimale per introdursi con un microsommergibile nel corpo di uno scienziato morente allo scopo di operarlo al cervello dall’interno. In “The Cell” una nuova tecnologia consente a Jennifer Lopez di penetrare materialmente dentro la mente delle persone; e lei è costretta ad avventurarsi pericolosamente nell’inconscio di un serial killer in coma (Vincent D’Onofrio) per scoprire dov’è imprigionata la sua ultima preda, cui un meccanismo a tempo minaccia di far fare la fine delle precedenti. Circa le idee ispiratrici si potrebbe risalire anche ad antichi horror degli anni ’40 (“The Devil Commands”); certo una fonte assai riconoscibile è la serie “Nightmare”.
Nato in India e attivo in America, Tarsem Singh viene dal videoclip e dallo spot pubblicitario, e si vede (basta l’inizio con quella camminata sulle dune in colori rutilanti). Perché il clip e lo spot appartengono a quella “costellazione estetizzante” (comprendente la foto di moda eccetera) che ha elaborato una sorta di potenziamento estetico dell’immagine in opposizione alla brevità della comunicazione. Una “imagerie” barocca e leccata, il cui influsso nel presente caso non va preso per un difetto: siccome il film sceglie queste forme bizzarre, gustosamente kitsch, per dipingere l’universo dell’inconscio, qui l’estetismo non è un punto limite ma una condizione del racconto.
Dirigere clip e spot peraltro non trasmette solo una pulsione estetizzante; può anche insegnare a concentrare, sul piano narrativo, il molto nel poco. Per Tarsem è stata evidentemente una buona scuola. “The Cell” è ben raccontato, con un ritmo serrato ed efficace, basato su raccordi fragorosi, anch’essi di visibile ascendenza spottistica. Risulta un bel thriller anche a voler prescindere, per paradosso, dalla descrizione sontuosa dei paesaggi allucinatorii dell’inconscio, che è la sua “raison d’être” (“The Cell” deve moltissimo alla scenografia di Tom Foden) e che provvede un assortimento di immagini eleganti, a tratti realmente surreali, fra cui si fa ricordare il cavallo tagliato a fette. Film intelligente e ben ordito, grazie alla buona sceneggiatura di Mark Protosevich, “The Cell” si struttura in senso binario. L’opposizione fondamentale è quella fra realtà fisica e “realtà” psichica (James G. Ballard parlerebbe di “inner space”), in cui si penetra a rischio: il film insiste sul rischio di caderci dentro somatizzando nel reale le esperienze illusorie percepite. Una quantità di rimandi, corrispondenze, rispecchiamenti si riferiscono direttamente a questa opposizione o la richiamano allusivamente: una serie di duplicità che non sono solo impostate sul piano narrativo ma evidenziate attraverso un montaggio pieno di attacchi per analogia.
Anche fra Jennifer Lopez e il serial killer il film pone un gioco di rispecchiamenti e rimandi (compaiono anche nelle proprie menti in vesti reali, l’uno come re malvagio, l’altra come regina/Madonna salvifica); già nel cruciale momento di costruzione della situazione il montaggio crea due “vite parallele”. E’ interessante l’equivalenza del concetto fisico di fluttuazione - un corpo appeso in orizzontale - tanto nei fili da cui penzolano questi viaggiatori della psiche quanto nelle catene alle quali si appende (sanguinosamente) il killer per le sue pratiche erotiche. Ma fluttuano nell’acqua anche le ragazze annegate nella loro prigione (il titolo “The Cell” - la cella, non la cellula! - ha più di un significato), e tutto rimanda alle ossessioni inconsce del serial killer. Un film così intessuto merita di non esser preso per una semplice antologia di immagini stupefacenti.

(Il Nuovo FVG)

Nessun commento: