martedì 8 gennaio 2008

Gli ultimi

Vito Pandolfi

“Con essi [“Gli ultimi”] è nato il film friulano”, scriveva Mario Quargnolo sul “Gazzettino” del 30 gennaio 1963. Oggi anche del grande film diretto da Vito Pandolfi e scritto da David Maria Turoldo si può dire che è rinato, grazie al restauro dovuto ai “tre moschettieri” friulani del cinema, Centro Espressioni Cinematografiche, Cinemazero e Cineteca del Friuli, con la Scuola Nazionale di Cinema e col sostegno della CRUP. E’ stato presentato lunedì con enorme successo al Teatro Giovanni da Udine, con l’aggiunta di vari materiali fra cui alcune belle scene tagliate e un affascinante “trailer” d’epoca, e si potrà vedere il 14 marzo a Pordenone e il 26 a Gemona.
Non solo questo restauro assicura definitivamente il futuro del film ma ne riporta in vita la versione a 35 millimetri (dopo la sfortunata prima distribuzione “Gli ultimi” era riapparso nel 1981 in 16 mm, copie poi andate al macero, salvo quelle salvate da Cinemazero e Cineteca del Friuli). Ma che cos’è in sintesi “Gli ultimi”, storia del piccolo Checo, figlio di contadini poverissimi, nei tardi anni ’30? Diciamo subito quello che non è: un’illustrazione del passato friulano, magari da fruire oggi come folklore nostalgico, entro un quadro di verismo verghiano. Certo, c’è un’attenzione quasi antropologica alle forme e ai riti dell’esistenza materiale; sui campi, la casa, la scuola, l’osteria, la chiesa, tutte le “tappe” del mondo contadino il film compie abilmente una sorta d’ideale panoramica a 360 gradi. Certo, c’è la descrizione con punte d’intensità quasi intollerabili della miseria e della disgrazia (un film che si apre con la morte: il contadino cadavere sul carro di letame). La descrizione della tavola dei ricchi, attorno alla cui abbondanza gira intimidito Checo, è grottesca, fiamminga.
Ma “gli ultimi” di Turoldo non sono “i vinti” di Verga. Attraversa il film quella turoldiana forza di resistenza morale della miseria (“Non è colpa la terra”, dice con espressione potente il padre) rivendicata nel finale. E contestualmente lo attraversa un elemento religioso che si disegna in controluce in ogni momento - anche nella solennità dei gesti quotidiani, come quelli lenti e inconsapevolmente rituali del taglio della polenta e della distribuzione del cibo - e emerge apertamente spesso. Vedi come la splendida figura silenziosa della madre Anute si trasforma nel film in “mater dolorosa”; o vedi all’inizio il supplizio di Checo appeso a mo’ di spaventapasseri da un gruppo di bambini feroci, che serve sì a sostanziare l’identificazione del bambino con lo spaventapasseri (il Leitmotiv del film) ma - penso al dettaglio dell’“incoronazione” con foglie di pannocchia - non può non richiamare l’elemento iconografico del Cristo schernito. Non è una religiosità consolatoria (vedi anche le notazioni asciutte sulla chiesa): sono cieli quasi bressoniani, questi cieli friulani disegnati dalla meravigliosa fotografia di Armando Nannuzzi.
In particolare colpisce il côté allucinato e a tratti onirico presente fin dai titoli di testa con il fuoco sui campi. Lo incarna la figura ossessionante dello spaventapasseri con cui s’immedesima il bambino (in una scena tagliata Checo è a fianco dello spaventapasseri e una panoramica in basso sposta l’inquadratura sull’acqua in cui si rispecchiano: lui e il suo Doppio) , liberandosi solo alla fine. Da citare poi i ricorrenti primissimi piani di Checo ad occhi aperti sul suo pagliericcio nel buio. E’ l’incubo infantile di un Friuli notturno e fantastico; in una sequenza arrivano al bambino, enfatizzate in un primo piano sonoro, le voci dei contadini che recitano il rosario per il morto; in un’altra lo spaventapasseri stesso viene avanti: è un brutto sogno ma il momento più terrorizzante viene al risveglio: una ventata apre la finestra e in soggettiva del bambino la macchina da presa inquadra lo spaventapasseri fuori nel campo, che si agita e trema nel vento...
La sua ricchezza di tessitura pone “Gli ultimi” al di sopra della pur lodevole illustrazione/denuncia quale fu etichettato all’epoca (vedi anche il trailer citato). Col presente restauro, c’è da augurarsi che molti spettatori possano scoprirlo.

(Il Nuovo FVG)

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