Brian De Palma
Un avvertimento per l’amante del cinema: il meraviglioso film di Brian De Palma “Femme fatale” è la sua opera migliore dai suoi tempi d’oro degli anni ’80. Si apre con una citazione da “La fiamma del peccato”, che parla di infamia e di omicidio: un film archetipico sulle “dark ladies”, e infatti la davvero splendida Rebecca Romijn-Stamos disegna una sconvolgente seduttrice criminale (“Nessuna buona azione resta impunita”). Il nume tutelare del film è Hitchcock - ma filtrato da De Palma in un tessuto di autocitazioni, da “Mission: Impossible” a “Omicidio a luci rosse” a “Complesso di colpa”. Il classico concetto hitchcockiano della fragilità del reale diventa in De Palma la dichiarazione della sua inconoscibilità, ridisegnato e stravolto com’è da un gioco pirotecnico di piani malvagi; in questo film poi - senza andare a rivelarne lo svolgimento - si sfiora il metafisico.
Brian De Palma ha sempre lavorato nel suo cinema su costellazioni emotive richiamate dal gioco delle immagini; cinema dal cinema; e naturalmente Hitchcock è sempre stato la sua chiave per accostarsi attraverso il thriller al gioco ideale del racconto, che è quel che gl’interessa. Non un Hitchcock ricopiato (del che in teoria è capace qualsiasi tv movie), bensì riscritto. Un Hitchcock per capire il quale merita andarsi a rileggere il celebre racconto meta-letterario di Jorge Luis Borges “Pierre Menard, autore del ‘Chisciotte’” (in “Finzioni”). Attraverso l’ostentazione e il gioco combinatorio - e la perversione - di materiali hitchcockiani De Palma compone una sorta di icona di secondo grado, come le opere di Warhol, e costruisce un discorso cinematografico interamente proprio.
Certo, Rebecca Romijn-Stamos col suo foulard bianco in capo è un’immagine perfettamente hitchcockiana (inutile poi osservare che anche il suo personaggio è una “donna che visse due volte”: il film che sta alla base della fantasia depalmiana), ma in “Femme fatale” i materiali assemblati costituiscono - senza perdere il loro valore di riferimento - un’opera “altra”, personale. Potremmo dire che il film è l’equivalente del grande collage di foto che il fotografo Antonio Banderas costruisce nel film stesso (e che quindi ne è una celata, simbolica, “mise en abyme”, una delle tante nel film). In questo senso “Femme fatale” è un assoluto capolavoro del manierismo cinematografico moderno.
E’ attraverso questo gioco di rifrazioni che De Palma esplora (con una lineare felicità che quasi non gli si conosceva più, per quanto sia sempre rimasto un regista di primo piano) le sue ossessioni. Il grumo vischioso dello sguardo, del voyeurismo, e logicamente della fotografia: delizioso l’ossimoro del fotografo (finto) cieco. La sessualità divoratrice, qui esibita con un’audacia rara in questi asfittici tempi di pruderie politically correct americana (fortunatamente questa è una coproduzione con la Francia!). Il doppio, che qui si rifrange in una serie di raddoppiamenti potenzialmente infinita. Il gusto per la “mise en abyme”: i manifesti e le scritte che appaiono nel film rispecchiano e commentano la narrazione (vedi l’ironico poster “Dèja-vue”).
Soprattutto la riflessione sul tempo cinematografico. Basta vedere la stupenda sequenza di sesso e furto all’inizio, realizzata con un montaggio addirittura elettrico. De Palma sa e mostra come il montaggio alternato sia un’operazione illusionistica, che crea un tempo unico da tempi incompatibili. Misteriose operazioni ladresche durante il bacio lesbico fra Rebecca Romijn-Stamos e Ria Rasmussen - quanto tempo dura un bacio? Quant’è il tempo dell’amore, nell’universo dell’ambiguità e dell’inganno?
Del resto, è affascinante come De Palma giochi sul tempo attraverso i sette anni della gigantesca ellissi che sta al centro del film. Vertiginosa ellissi: perché in essa viene inghiottito lo stesso statuto di realtà (o in altre parole, il principio di veridicità) delle immagini. Su questo non si può insistere per non svelare troppo del film; aggiungendo solo in linea generale che la messa in dubbio della realtà delle immagini è caratteristica del cinema moderno narrativamente più avanzato.
(Il Nuovo FVG)
martedì 8 gennaio 2008
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