Corrado Guzzanti
In origine fu una voce. Perché l’idea base, a suo tempo, del “Fascisti su Marte” televisivo fu quella di parodiare il classico commento da cinegiornale fascista, con la voce del dicitore (mai oseremmo dire speaker) “maschia”, impostata, pervasa della retorica del regime. Ora nel film, “Fascisti su Marte”, scritto da Corrado Guzzanti con Paola Cannatello e da lui diretto con Igor Skofic, tornano quella voce, filologicamente perfetta entro la deformazione satirica, e la forma del cinegiornale d’epoca, con tanto di rigature, nella stupefacente cronaca della conquista di Marte da parte di una pattuglia fascista arrivata con un razzo autarchico, guidata dal gerarca Barbagli (Guzzanti che ispira la sua sempre eccellente mimica a Mussolini: gonfiare il petto, stirare le labbra, protrudere il mascellone). I loro frenetici saluti romani trasformano questi fascisti in pupazzetti a molla: un elemento meccanico e marionettistico che sarebbe piaciuto ad Angelo M. Ripellino. E’ forse la più divertente parodia del fascismo dai tempi de “Il federale” di Tognazzi. Un punto alto è la satira del fascismo esoterico (ombra di Julius Evola!), che fornisce alcuni dei momenti più deliranti dell’intero film.
Film che ci tiene a presentarsi in partenza come operazione “colta”: il dispositivo parodistico non banale, il gioco metalinguistico sul triplo statuto del suono (voce narrante, didascalie, irruzioni nel “muto” di rumori e voci), l’elegante spostamento progressivo dal monocromo rossastro al colore completo, e tutto l’apparato citazionistico: per esempio, il viaggio spaziale è un po’ Méliès e molto più i vecchi serial di Flash Gordon; fa capolino lo spielberghiano “Schindler’s List”; si culmina coll’arrivo di amazzoni spaziali supersexy che sono puro fanta-B-movie anni ’50; e non dimentichiamo il sublime sberleffo a Kubrick (con la musica di Ligeti e le inquadrature “giuste”) in chiusura.
C’è in questo film una indubbia capacità visionaria, che le rare animazioni incoraggiano a collegare allo humour di Terry Gilliam. Pensiamo all’incubo di Barbagli sulle note agghiaccianti del “Dies Irae” di Mozart, col testone di Mussolini che scivolando sulla sabbia lo insegue svillaneggiandolo. O al paradosso visuale degli indigeni minimmi, sassi immobili, sottoposti allo squadrismo, alla fascistizzazione forzata, alla fucilazioni - addirittura uno di loro (una sassa?) è protagonista d’una storia d’amore interrazziale. Il film è un diluvio di gag: anche quelle più estemporanee (il gustoso “inno di guerra dei pastori sardi”) stanno bene in questa struttura aperta ma non sgangherata: variazioni comiche su uno schema forte. La storia della conquista di Marte rispecchia la storia dell’intero ventennio: le origini squadristiche, il regime (ipertrofia burocratica e monumenti di sabbia che si sfaldano), la guerra e la sconfitta (le amazzoni rispecchiano la civiltà americana), e il lungo periodo del “dopo”.
“Voi italiani siete come i minimmi”, accusa la voce narrante. E si crea quel paradosso ch’è proprio solo della satira alta, per cui nella caricatura altrui vediamo con sorpresa uno specchio deformante per noi stessi. Così la grottesca conclusione, lamento e rivendicazione del fascismo sconfitto, assume un elemento di alta drammaticità (che rende la battuta sulla democrazia meno comica di quanto si direbbe). Ci accorgiamo che il grottesco di “Fascisti su Marte” non è solo la commedia sbertucciante di cinque fascisti scombiccherati ma ci rimanda il ritratto di un paese che non ha mai saputo fare nulla sul serio.
Il pensiero va alla Napoli devastata di oggi - dove i capintesta politici si riuniscono per far parata di parole, annunciare nuove “tavole” e “osservatorî”, seppellire l’emergenza sotto nomi che suonano bene in tv: e pensiamo al gerarca Guzzanti che se uno ha fame crea l’ente apposito, l’En.Fam., e se quello protesta che ha fame adesso, lo modifica nell’En.Fam.Ad. A onta degli orbace e dei pupazzeschi alalà, “de te fabula narratur”.
(Il Nuovo FVG)
venerdì 4 gennaio 2008
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