martedì 8 gennaio 2008

Essere e avere

Nicolas Philibert

Registrazione di un anno di una piccola scuola elementare di campagna dell’Auvergne, dove bambini di diversa età fanno lezione nella stessa aula, “Essere e avere” di Nicolas Philibert dà un colpo all’idea diffusa ed errata che documentario e film di fiction siano due opposti. Come se non fosse chiaro che ogni documentario è una fiction (lo stesso principio narrativo lo rende tale); come se non fosse chiaro che ogni fiction può incrociarsi col documentario. Lo splendido film di Aki Kaurismäki “La fiammiferaia” (appena rivisto nella rassegna Kaurismäki del cinema Ferroviario, lo stesso che ha presentato “Essere e avere”) è anche un documentario sulla fabbricazione dei fiammiferi. Il recentissimo “8 Mile” di Curtis Hanson è anche un grande documentario, di sapore jarmuschiano, sulla periferia di Detroit.
Inquadrando i bambini, “Essere e avere” ne gestisce abilmente la dialettica fra libertà e consapevolezza (gli occasionali sguardi in macchina); e la loro naturalezza vince, trasformandoli in presenze cinematografiche risonanti. In star! Come Jojo, un protagonista naturale, eroe di pagine memorabili: Jojo che non ha voglia di lavorare, Jojo che si lava le mani, il superbo episodio di Jojo e Marie con la fotocopiatrice, Jojo che filosofeggia col maestro discutendo fino a che numero si può contare (lui opina che la serie dei numeri sia finita). E i grandi vengono assorbiti in questo vortice di naturalezza, vorrei dire di “filmabilità” (sto pensando alla superba scena della famiglia che cerca tutta insieme di risolvere il problema). Del pari è affascinante la figura del maestro, una personalità intensissima che traspare in controluce; perché la ricchezza dell’implicito è travolgente in “Essere e avere”. Questo film in apparenza così evidente contiene una quantità impressionante di non-detto.
Il grande problema del cinema dopo i fratelli Lumière: rappresentare il tempo. Per farlo, possiede, come il romanzo, due forme: l’ellissi, che sospende il racconto e lo proietta nell’implicito, e il riassunto, che ne ripercorre i punti salienti. “Essere e avere” è un magnifico riassunto; ma il suo “tempo lento” comprende ellissi fulminanti. Ne cito una che è fra le più belle di tutto il cinema degli ultimi anni (e avrei il coraggio di cancellare le ultime tre parole). La classe va a fare un picnic; poi vediamo il maestro e gli altri cercare fra il grano, chiamandola a gran voce, una bambina sparita; e qui la realtà forma un’autentica suspense nel film. Poi su un’inquadratura ravvicinata delle spighe sentiamo il grido fuori campo “Eccola qui”; e allora, con imprevista assoluta giustezza, il racconto va in ellissi. Stacca a un altro giorno, un altro episodio. Dov’era la piccola? Perché era scomparsa? L’ha poi rimproverata il maestro? Non lo sapremo mai. La maestosità degli avvenimenti minimi della vita viene fatta coincidere con la maestosità della reticenza. Lei è stata ritrovata - c’è bisogno di dire altro?
Dello scorrere del tempo, ci informano le inquadrature della natura. Un albero in un campo primaverile ci dice, evidentemente, che l’inverno è passato. Ma quest’immagine ha un ruolo doppio: è un informante di tempo, ma anche rientra in quella serie di inquadrature - quasi tutte esterne, per lo più vuote di persone - che potremmo chiamare “di sospensione”, e che punteggiano lo svolgersi del racconto con silenziosa potenza, belle come in Godard. Un panorama semibuio. La porta chiusa della scuola. L’albero primaverile. Un paesaggio al tramonto. L’elementare immagine stupenda di una mucca in distanza che attraversa un campo. Grano e albero sotto il vento. I trattori. Il campo coi covoni che chiude il film. Il “tempo sospeso” di questo sguardo sul mondo mi ricorda la vertiginosa densità degli haiku giapponesi. “Nuvole di fiori / E’ la campana di Ueno? / La campana di Asakusa?” - questo, di Matsuo Basho, non si accorda perfettamente al film?
E così tutte le nostre voci del “tempo” - il tempo oggettivo del calendario, il tempo biologico della crescita, il tempo esistenziale (ci vuol tempo per imparare a scrivere!), il tempo atmosferico della pioggia, della neve, del sereno - in questo film dialogano fra loro, e vengono ricondotte all’unicità della parola.

(Il Nuovo FVG)

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