martedì 8 gennaio 2008

EDtv

Ron Howard

Un film è fatto anche di oggetti-simbolo. Potrebbe aspirare al culto “camp” il collare porta-bottiglie di birra indossato dal protagonista di “EDtv” di Ron Howard: per la sua insuperabile bruttezza e povertà è degno delle sadiche fantasie basso-antropologiche di John Waters. La volgarità di Ed e di suo fratello rappresenta la vera povertà americana, che non è il non avere da mangiare (li vediamo all’inizio in famiglia in un orrificante pasto “junk”) ma uno smarrimento dello spirito, un’ignoranza senza destino. “E’ quasi una sorta di apoteosi della beceraggine umana”, dicono di Ed i produttori. Così Ed diventa un personaggio di True Tv, che riprende la sua vita quotidiana minuto per minuto. Dal momento che tutti i membri della famiglia vedono svolgersi la loro vita in diretta tv, si crea un gioco di cortocircuiti e di ritorni (vedi l’episodio centrale del bacio con la fidanzata del fratello); è questa contemporaneità di svolgimento in diretta - col suo complesso rapporto tra vero e artefatto - il risvolto teorico più interessante del film, non il discorso ovvio sulla perdita della privacy.
Il film di Ron Howard bene illustra una caratteristica fondante della televisione contemporanea, che vuole (citando ancora) “non un virtuoso ma un disperato”. In questo senso è interessante paragonare “EDtv” con “Quiz Show” di Robert Redford, che oggi appare più che mai un film storico, con quella tv d’antan che imbroglia per esibire il bell’aristocratico Ralph Fiennes al posto dello sfigato John Turturro. Oggi imbroglierebbe a rovescio per avere Turturro - e fra l’altro questo è l’esatto motivo per cui non si fanno più i “quiz show” come allora (quelli di oggi sono una specie di incontro di catch fra l’ignoranza e la fortuna). La tv esige un uomo qualunque che rappresenti direttamente le masse (la televisione è spaventosamente metonimica) e se è uno sfigato, meglio: nutre il sadismo di osservare sul teleschermo la sua sfiga. Senza bisogno di esempli americani, è qualcosa che conosciamo bene anche qui da noi: che altro sono i programmi come “Amici” e “Coppie” di Maria De Filippi?
“EDtv” non ha la grandezza metafisica e raggelante di “The Truman Show”, né, ovviamente, il suo livello formale. L’onesto artigiano Ron Howard non è Peter Weir. Ma nei suoi limiti è un film intelligente e divertente. Nonché ottimamente interpretato: da citare almeno Matthew McConaughey/Ed, Woody Harrelson, suo fratello, Ellen DeGeneres, la produttrice; ed è una sorpresa l’espressiva Jenna Elfman. Ammettiamolo: anche noi, se True Tv esistesse, saremmo lì a guardare con una sorta di oscura fascinazione la vita giorno per giorno di quest’uomo, che diventa soap - la bacerà o no? Si lasceranno o no? - per il fatto di essere ripresa (la discriminante fra vita vera e soap opera è dunque solo la presenza o l’assenza di un obiettivo che inquadra?).
Il film non esplora l’aspetto totalitario sotteso alla tv (esso lampeggia appena nella scena giustamente inquietante dello stadio di hockey su ghiaccio). Se “The Truman Show” doveva molto, come osservato a suo tempo, a “L’invasione degli ultracorpi”, “EDtv” è una filiazione da Frank Capra (nel cinema di Ron Howard c’è sempre spazio per una via d’uscita): il “little man” che se viene attratto nel gioco-trappola dei potenti è sempre capace di ribellarsi rivoltando a suo favore i termini della partita. Così Ed - senza più portabottiglie al collo - cresce e rivendica la propria dignità con parole degne di James Stewart in un film di Capra. Si libera dalla morsa della tv, in una soluzione certo appiccicata e implausibile, ma che ci riempie di soddisfazione. Perché il personaggio è troppo simpatico. Perché, chi ha mai detto che bisogna essere contro l’happy end? E anche perché nella realtà non sarebbe mai successo: questa soluzione di fuga più di qualsiasi altro particolare del film riconsegna il racconto all’universo della fiction. E questo, credeteci, rassicura.

(Il Nuovo FVG)

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