martedì 8 gennaio 2008

Demoni e dei

Bill Condon

“A un nuovo mondo di demoni e dei!”, inneggia mefistofelico il dottor Pretorius mentre la macchina da presa ci rivela le sconvolgenti fattezze della Sposa di Frankenstein, il mostro femmina incarnato da Elsa Lanchester. E’ il capolavoro “Wife of Frankenstein” (1935) di James Whale, il regista inglese dei grandi film di mostri Universal degli anni trenta, “Frankenstein”, “La sposa di Frankenstein”, “L’uomo invisibile”, “The Old Dark House”. Ormai in ritiro (non la mai celata omosessualità ma il suo cattivo carattere e i litigi coi produttori avevano affondato la sua carriera) nel 1957 fu trovato morto galleggiante nella sua piscina. Ora una magistrale interpretazione di Ian McKellen, contenente solo un’ombra di manierismo naturalista, evoca i suoi ultimi giorni di vita nel notevole “Demoni e dei” di Bill Condon.
Non si tratta peraltro di una biografia per horror-cinefili del “creatore di Frankenstein”, nonostante un paio di belle ricostruzioni che riportano in vita Boris Karloff ed Elsa Lanchester, Ernest Thesiger e Colin Clive (o la gustosa idea del cast & credits finale che imita la vecchia grafica della Universal, con la classica scritta “A good cast is worth repeating”). Né tanto meno si tratta di un pezzo di detestabile gossip alla “Hollywood Babilonia”. “Demoni e dei” è un raffinato, spiritoso, quietamente fiammeggiante mélo omosessuale. Gli assi portanti del film sono il ricordo e la seduzione; legati fra loro da un dettaglio molto bello: che sia uno sguardo di desiderio sessuale a innestare i flashback.
La seduzione. Il film è un vero manuale di seduzione omosessuale; è una delizia guardare il James Whale di Ian McKellen, vecchio fragile gentiluomo mega-gay gloriosamente impenitente, bugiardo perso dagli occhi pieni di falsa innocenza, mentre si insinua con arte da maestro nella ritrosia del suo ingenuo giardiniere, un mascellone americano che sembra Li’l Abner. Il suo lento processo di avvicinamento alla preda ha una umoristica spudorata vivacità che non sarebbe dispiaciuta a Lubitsch. Il tutto sotto gli occhi scandalizzati della governante Hanna, che sembra uscita da un film di Whale stesso, sembra una parte per Elsa Lanchester (la interpreta con umorismo e tenerezza Lynn Redgrave).
Il ricordo. “Demoni e dei”, tempestato di squarci onirici e di flashback lampeggianti, talvolta quasi subliminali, incrocia la memoria dei set hollywoodiani con quella delle trincee della prima guerra mondiale. “Et pour cause”: il mondo di demoni e dei, vale a dire di mostri, augurato dal perverso Pretorius (che nel film di Whale è il super-Frankenstein, il creatore di mostri senza i pentimenti e i complessi del dr. Frankenstein suo collega) non è forse il nostro sanguinoso secolo?
Il ricordo del passato; il rimpianto astioso della gloria trascorsa (eccellente l’acida descrizione del party di George Cukor); l’odio e la paura dell’invecchiare. L’ombra del delirio in cui cade Whale, che dopo un colpo apoplettico sta perdendo il controllo sulla realtà (la paura di perdere la mente suggerisce l’incubo associato agli innesti di cervello del “suo” dr. Frankenstein) e per questo cerca la morte. La sessualità solitaria e rabbiosa. La solitudine dell’ex.
Così le immagini del mostro e del suo creatore in “Wife of Frankenstein” ossessionano sia Whale che il suo giovane amico, ex marine (riformato) che si apre a un nuovo mondo fantastico che terrà per sé (senza farne parte alle donne; le giovani donne in questo film non fanno affatto una grande figura, a partire dalla inesorabile volgarità della barista), fino a identificarsi nell’ultima scena nella camminata meccanica del mostro di Frankenstein. Sotto tanti temi ben intessuti, è la solitudine quello finale del film. Mugola patetico Boris Karloff, il mostro, in un frammento di “Wife” che ci è mostrato: “Alone... bad! Friend... good!”.

(Il Nuovo FVG)

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