sabato 12 gennaio 2008

Dancer in the Dark

Lars Von Trier

Non c’è - o non parla - più il Dio esigente e imperioso de “Le onde del destino”, nello sconvolgente musical di Lars Von Trier “Dancer in the Dark”. C’è solo un mondo crudele, demoniaco, caotico: oscurità e buio, come quello che apre il film permanendo per tutta l’ouverture scritta da Björk; lo stesso buio della fine, quando un carrello verticale ascendente passa dal corpo impiccato di Selma/Björk sopra la piattaforma, poi sopra il soffitto, oltre il quale c’è il nero, su cui scorrono i titoli di coda. Quest’oscurità è anche la cecità che sta avvolgendo progressivamente Selma, ed è anche - anticipata dal cappuccio nero delle impiccagioni - la grande oscurità della morte. Selma sta perdendo la vista e lo nasconde perché ha bisogno di lavorare, nel frenetico accumulo di denaro che segretamente raccoglie per l’operazione di suo figlio, altrimenti destinato alla sua stessa cecità progressiva. E finisce giustiziata innocente.
Formiche nel buio, noi esseri umani danziamo (“Dancer in the Dark”): è il modo per non cedere alla disperazione. Infatti la cinepresa a mano di Lars Von Trier è più che mai, all’inizio, caotica, frenetica: taglia le teste: si direbbe assimilata al caos del mondo. Poi si razionalizza (o noi ci assuefacciamo?) alquanto. Ma nei “numeri” di musical, nei quali improvvisamente si trasfonde l’azione, la macchina da presa diventa ferma, eloquente, “lussuosa” (uso questo termine perché per Lars Von Trier vedere è un lusso: ne parla una canzone fra le più belle del film, quella che dice “Di più sarebbe avidità”). Il musical non entra nel racconto direttamente, bensì come sospensione soggettiva e sognante di Selma (c’è una battuta che lo sottolinea); solo alla fine si realizza la fusione, con la canzone di Selma che - in uno stupefacente momento di tensione diegetica - non è né oggettiva né soggettiva ma pertiene a entrambi i piani.
Nel suo calvario Selma si confronta con la concezione della colpa e dell’incomprensione (“Sono stupidina”, canta, con le stesse parole di Dio a Bess/Emily Watson ne “Le onde del destino”). La sua esecuzione non è un dramma della malvagità ma di un’incomprensione umana addirittura comprensibile: chi le crederebbe? E’ uno degli assunti di Lars Von Trier, l’incomprensibilità della realtà di ciascuno da parte di chiunque altro. In “Dancer in the Dark” perfino Cathy (Catherine Deneuve), l’amica fedele, non comprende Selma appieno. Lo fa Jeff (Peter Stormare), “et pour cause”: ne è innamorato - l’amore è in Von Trier l’unica forza che può darci un barlume di comprensione dell’altro.
Bisogna mettere in chiaro che “Dancer in the Dark” non appartiene all’orizzonte narrativo del realismo. Il suo irrealismo si esplicita nella violenza quasi espressionista delle situazioni, nel suo concatenarsi sciagurato di casualità, ove anche gli inganni a fin di bene di Selma si ritorcono contro di lei; è come se fosse “framed”, incastrata, da Dio stesso. Si vede una potenza all’opera che possiamo chiamare solo l’accanimento di Dio. Il concetto è quello del Libro di Giobbe.
Il tema, come ne “Le onde del destino”, è quello del sacrificio totale: un Calvario, preceduto dal suo Getsemani. Però, se ci sia un Dio dietro, questo “Dancer in the Dark” non ce lo dice. L’altro film, confortato dalla voce di Dio stesso in bocca a Bess, si chiudeva sulla visione miracolosa delle campane; qui non c’è nulla. Solo che il sacrificio è talmente enorme che non riusciamo a concepirlo senza giustificazione, consolazione, ricompensa. Ecco allora che in “Dancer in the Dark” l’esistenza di Dio si nasconde nella grandezza stessa del sacrificio che richiede. Ma questa è un’inconcepibile tensione per la ragione!
Così, “Le onde del destino” e “Dancer in the Dark” mettono in risalto lo stretto rapporto fra Lars Von Trier e un altro danese apparentemente lontanissimo da lui: alludo naturalmente a Dreyer. Anche Dreyer (basta pensare a “Ordet”, ma in realtà è argomento di tutto il suo cinema) porta lo “scandalo della ragione” del cristianesimo al centro dello schermo. Non occorre essere suoi correligionari per accorgersene: Lars Von Trier fa il cinema più drammaticamente mistico e cristiano del nostro tempo.

(Il Nuovo FVG)

Nessun commento: