mercoledì 9 gennaio 2008

Codice: Swordfish

Dominic Sena

Produce, nel vederla oggi, una fitta di dolore interiore quasi fisico, quella che doveva essere la scena madre di “Codice: Swordfish” di Dominic Sena, girata per strappare al pubblico solo gridolini di ammirazione: la sequenza dell’autobus appeso all’elicottero, e carico d’esplosivo, che vola e sbanda fra i grattacieli di Manhattan. E su questo ci dobbiamo soffermare, anche a costo di una lunga digressione.
L’aspetto grottesco della tragedia terroristica di New York è che è stata l’inveramento di un “action movie” di Bruce Willis - ossia di qualcosa che per definizione, come un film di fantascienza, “non può” accadere. La forza particolare di questo che ho chiamato inveramento nasce al di là del fatto stesso, è dovuto a un dato in parte casuale e in parte tecnologico: la perfezione dell’immagine “vera”. Perché l’immagine vera, al contrario di quella “fictional”, ha storicamente la caratteristica di essere “sporca”, confusa, porta in sé il marchio della propria casualità (solo Rossellini la ricostruirà benissimo nel sublime finale di “Paisà”). E’ così che ci vien naturale distinguerla dal falso. Già nella storia della fotografia, dove si può indicare la “falsa attualità” che è la posa, la ricostruzione che si spaccia per vera: da certe scene di battaglia chiaramente finte del secolo scorso a famose istantanee sospette come il miliziano colpito a morte di Robert Capa, i marines di Iwo-Jima, il soldato russo che issa la bandiera sul Reichstag... Ora accade che il filmato tv dell’aereo che si schianta su una delle Torri Gemelle abbia una nettezza formale (appunto, un po’ il caso, un po’ la tecnologia dell’immagine) che lo rende... non dirò più tragico e orribile (ché comunque lo sarebbe stato) ma più spaventosamente irreale - perché più “cinematografico”. E’ il farsi possibile di una trovata impossibile, non solo come contenuto ma anche come forma.
Tanto più per questo, d’ora in poi, qualunque action movie alla Bruce Willis provocherà in noi un “feedback” che ci riporterà con una specie di doloroso stupore a quelle immagini vere. Così è per
“Codice: Swordfish”, in una scena progettata come capolavoro dell’action movie: dove è sconvolgente in particolare il frammento in cui una donna/bomba umana precipitando esplode a metà di una delle Torri. Ma che dobbiamo dire del film al di fuori di questo corto circuito impressionante fra finzione e realtà?
Con “Codice: Swordfish” Dominic Sena (di cui ricordo l’interessante ma sopravvalutato “Kalifornia” e il bruttissimo “Fuori in 60 secondi”) ci ha dato il suo film migliore finora. In parte è per il suo modo di girare adrenalinico; Sena, che viene dalla pubblicità, ha sempre cercato uno stile “hip” ma solo stavolta è convincente (vedi la splendida esplosione delle auto all’inizio). Come molti hanno osservato, si sente forte l’influsso di “Matrix”. E’ un film esagerato ma non demente, che sa evitare i possibili passi falsi (vedi la parte sulla bambina, che per una volta non è dolciastra e mielosa), e che si avvale di una serie di buone interpretazioni. Grande in particolare John Travolta nella parte del supercattivo dagli occhi di pietra. Assai gustosa la consapevolezza metacinematografica, cioè di cinema che riflette ironicamente su se stesso, che la sceneggiatura di Skip Woods inserisce nel film, aperto da un grande discorso di Travolta (esordio: “il guaio di Hollywood è che produce merda”) che critica il fatto che al cinema il cattivo debba sempre perdere e morire. Un tema base del film, contestualmente impreziosito da un omaggio all’arte illusionistica di Houdini che avrebbe divertito l’Orson Welles di “F for Fake”.
L’action movie! Cinema fracassone, spesso è piacevole e divertente (molto basandosi sulla simpatia dei protagonisti: il Bruce Willis di “Die Hard”, la coppia Gibson-Glover di “Arma letale”), rare volte assai intelligente (come i geniali “Last Action Hero” di John McTiernan e “True Lies” di James Cameron). Via di mezzo, Sena ci dà del cinema artigianale - intelligentemente realizzato.

(Il Nuovo FVG)

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