martedì 8 gennaio 2008

Bodyguards

Neri Parenti

Diavolo, un articolo su “Bodyguards”? Ma ne varrà la pena? Beh, se prendiamo in esame il film di Neri Parenti come contributo all’arte cinematografica, allora, come dicono a Roma, “nun c’è trippa pe’ gatti”. Un film inconsistente, col quale Parenti segna un punto basso in una carriera d’artigiano modesta ma abbastanza dignitosa (comprendente, non dimentichiamolo, almeno una gemma: “Superfantozzi”, delirante saga di Fantozzi attraverso i secoli). Non serve a salvare il fiacco racconto una certa cattiveria delle gags (per esempio i due cani di Anna Falchi periscono con un tocco di crudeltà debitore di “Tutti pazzi per Mary”), tanto più che la dimensione fisica e “cattiva” è una costante di queste produzioni. Così il film spreca le capacità di attori di presenza (Massimo Boldi per primo, ma anche Christian De Sica e l’esagitato Enzo Salvi; solo Biagio Izzo è scialbo, un mediocre rincalzo per Nino D’Angelo evidentemente occupato altrove); a proposito della coppia Boldi-De Sica, “Bodyguards” non si sogna neppure la correttezza artigianale, non dico del bel “Vacanze di Natale 2000” dei fratelli Vanzina, ma neppure di prodotti minori quali “A spasso nel tempo”. E questa osservazione valga come un cartello di avvertimento: attenzione, arcigni moralisti! Chi scrive non ce l’ha “in toto” coi film del filone cosiddetto “vacanziero”, fatti di semplice comicità imperniata sul richiamo di alcuni attori fissi. Alcuni di questi sono più che discreti (da “Sognando la California” a “S.P.Q.R.”, da “Yuppies 2” al citato “Vacanze di Natale 2000”). Molto meglio delle pieraccionate. Non è però il caso del film presente, dove praticamente l’unico fattore di interesse sono i seni di Victoria Silvstedt e Anna Falchi.
Tuttavia, una pellicola può risultare poco o punto interessante come opera, ma esserlo come testimonianza di uno stato del cinema. Appunto “Bodyguards” testimonia, più dei suoi confratelli, un’assimilazione radicale fra cinema e tv, su cui conviene riflettere. L’aspetto sociologico più importante dei film “vacanzieri” è che attraggono al cinema una serie di spettatori per così dire “una tantum”, in larga parte non frequentatori fissi delle sale (e anche per questo non troppo discriminanti): una massa che va al cinema per gli hit comici di Natale e non ci torna altre volte; il resto dell’anno vede tv. Beninteso, questo lo può fare anche un “blockbuster” come “Titanic”; però “Titanic” compie un (benefico) furto, sottrae spettatori all’elettrodomestico trascinandoli sul proprio piano, ch’è quello specifico cinematografico. I film “vacanzieri” invece mantengono un collegamento forte con l’universo televisivo. Basta guardare l’estrazione per lo più televisiva delle loro star, da Ezio Greggio a Jerry Calà, da Boldi a Nino Frassica. L’elemento di novità di “Bodyguards” sta nell’ampliare questo rapporto fino all’ossessione. Non è nemmeno più la tv che si sposta al cinema per parodiarsi: è una specie di supertelevisione su grande schermo.
A partire dal cast, composto di personaggi televisivi nella parte di loro stessi. Abbiamo un pugno di tele-bellezze: Victoria Silvstedt, Megan Gale, col che pensi subito a “Ciao Darwin”, Anna Falchi; è più distante Cindy Crawford (la quale mostra di non saper recitare neppure in un film come “Bodyguards”) ma gli spettatori la conoscono attraverso i programmi di gossip. E poi Massimo Giletti, Gigi Marzullo, Luca Laurenti, Cristina Parodi, Maurizio Costanzo. Vediamo il set di “Buona domenica”, si cita “Scherzi a parte”, e anche la sfilata di moda sulla scalinata di Trinità dei Monti presentata da Cristina Parodi riprende analoghi spettacoli in tv. Vero che queste figure - Marzullo in testa - accettano un ruolo di tenue autoparodia: niente di più comunque di quanto non si potrebbe vedere appunto a “Buona domenica”. E’ più interessante, semmai, il cortocircuito diegetico per cui nel film Massimo Giletti e Megan Gale compaiono nelle parti di loro stessi ma in un ruolo di fidanzamento immaginario, con sviluppi farseschi (lei lo riempie di botte).
E’ giusto ricordare che i comici italiani hanno sempre realizzato un circuito massmediatico ante-litteram fra teatro, avanspettacolo, radio, tv, cinema (possiamo metterci perfino le figurine, se pensiamo al Feroce Saladino d’anteguerra). Basta pensare ad alcuni film di Totò, quali “Totò, lascia o raddoppia?” (1956) o “Totò al Giro d’Italia” (1948), che parla di sport, via apparivano i più grandi ciclisti dell’epoca, ma il riferimento non era tanto al Giro come fenomeno sportivo quanto come oggetto delle radiocronache. Questa “felicità mediatica” è una ricchezza del cinema comico italiano. Bisogna dire che “Bodyguards” non vi si riallaccia con eccessiva felicità.

(Il Nuovo FVG)

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