sabato 12 gennaio 2008

Blackjack

John Woo

Lo spettatore che venerdì abbia buttato l’occhio sul film tv “Blackjack” (in tv su Italia 1) di John Woo, senza conoscere il grande regista hongkonghese, magari si sarà anche divertito: con tutti i suoi difetti, il film tv è superiore alla produzione media. Ma qui si sarà aperto un fossato fra coloro che conoscono e amano il ci-nema di Woo (e in generale il cinema hongkonghese, di cui egli è stato l’esponente di punta) e coloro, certo la maggioranza, che non lo conoscono: paradossalmente, i secondi avranno apprezzato “Blackjack” molto più dei primi.
Infatti nella produzione complessiva di Woo “Blackjack” appare come la vera grande delusione, superiore a “Broken Arrow”; e il fatto che Woo entri come produttore esecutivo esclude discorsi giustificatori sul controllo americano che lo avrebbe tarpato. Il problema principale è che la sceneggiatura - non di Woo - si può definire solo delirante, con alcune soluzioni narrative così mec-caniche e sciocche che neppure la maestria del regista arriva a salvarle; oltre che evidentemente assai rimaneggiata. Basta vedere come la prima parte non leghi affatto con la seconda, più lunga, in cui il protagonista Dolph Lundgren protegge una modella da un killer che in realtà è il suo ex marito. A fare da trait d’union c’è solo la figura della bambina (“ereditata” dagli amici spariti assurdamente fuori schermo), e naturalmente la fobia del bianco, originata da un incidente durante il primo episodio e motore del secondo.
Questo esempio di cromofobia è l’unica invenzione interessante del film. Il colore bianco fa da tema visivo centrale ed elemento di continuità nel film, e Woo può convogliarvi tutta la sua baroc-ca eleganza (vedi la lotta di Lundgren col suo nemico in un mare di latte). Perché John Woo è un regista barocco, dallo stile in-sieme isterico e poetico, caratterizzato da un senso coreografico dell’azione. I suoi film di poliziotti e gangsters sono autentici balletti di fuoco. Troviamo un gusto per l’eccesso tipicamente “wooiano” (e hongkonghese in genere) anche in alcune scene di “Blackjack”, come nella sparatoria iniziale, quando Dolph Lundgren momentaneamente accecato deve sparare secondo le indicazione della bambina che porta sulle spalle.
Anche se il film tv si solleva regolarmente nelle sparatorie e nei bellissimi “stunts”, non è capace di andar oltre una certa bellezza grafica delle scene d’azione. I tormentati eroi di Woo, segnati dal senso dell’onore e da oscuri rimorsi, trovano un ben povero erede in Dolph Lundgren. Anche lui è debitamente tormenta-to, dall’ossessione di una responsabilità nella morte del padre, ma né la sceneggiatura sa sviluppare il tema né l’interprete ha mezzi espressivi a sua disposizione. Peraltro, Dolph Lundgren sembra già un buon attore se messo a confronto con la disastro-
sa protagonista femminile Kate Vernon, dalla faccia bovinamente placida che pare più adatta a un sonetto di Giosuè Carducci che a un thriller di John Woo.
Come che sia, questo film tv non sarà stato inutile se servirà almeno a far conoscere il nome del regista al grosso pubblico. Moltiplicate per dieci tutto quel che di positivo si trova in “Blackjack” e fate uguale a zero tutti i difetti. Allora avrete un’idea del vero cinema di John Woo - e capirete anche perché ve-dendo “Blackjack” abbiamo provato una tale delusione.

(Il Piccolo)

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