sabato 12 gennaio 2008

Astérix & Obélix contro Cesare

Claude Zidi

Le versioni cinematografiche dei fumetti si possono distribuire in tre categorie. 1) I film che pur nascendo dal fumetto si strutturano in modo autonomo da esso, spesso con intenti satirici, senza preoccuparsi di ricostruirlo sullo schermo “stricto sensu” (esempio: “Diabolik” di Mario Bava, 1968). 2) I film che mantengono un legame stretto col fumetto d’origine e cercano di restituirne
sullo schermo figure e spirito, però in maniera autonoma sul piano linguistico: ossia vogliono ricostruire il fumetto in forma prettamente cinematografica (esempio: “Dick Tracy” di Warren Beatty, 1990). 3) Forma più povera della precedente, i film che trasferiscono il fumetto sullo schermo in modo illustrativo; talché paiono quasi voler pantografare il fumetto nell’immagine filmica. Come esempio del terzo tipo, credo sia giusto citare i vecchi film sulla saga di Li’l Abner - stupendo fumetto satirico-rurale di Al Capp, oggi ingiustamente un po’ dimenticato - come il “Li’l Abner” del 1940 di A.S. Rogers o (tramite un musical di Broadway) quello di Melvin Frank del 1959 (in Italia, “Il villaggio più pazzo del mondo”).
Ho detto la forma più povera perché oggettivamente lo è; però è anche quella con meno rischi. L’inevitabile “tradimento” compreso nel salto di medium è meno avvertibile. L’aderenza costituzionale al fumetto finisce per donare al film un certo aroma d’epoca che gioca a suo favore; di più, quella sua maggiore semplicità consente nei casi più fortunati di raggiungere effetti di bizzarra poesia. Si potrebbe aggiungere che l’evoluzione tecnica del cinema ha l’effetto di avvicinare sempre di più il secondo e il terzo tipo.
A questo terzo tipo appartiene nelle sue parti migliori la fortunata versione cinematografica delle avventure di Asterix e Obelix di Claude Zidi, “Astérix & Obélix contro Cesare” (con scelta discutibile il titolo italiano mantiene la E accentata francese, eliminata nella versione italiana del fumetto). Luoghi e personaggi ricalcano quelli dei disegni di Uderzo con effetto quasi da cartone animato: certe figure di contorno come il bardo Assurancetourix, il vecchio Matusalemix e compagnia sfiorano lo scrupolo filologico, con risultati a volte di impressionante somiglianza (penso alla bella moglie di Matusalemix).
Quanto agli eroi eponimi, se Christian Clavier dà corpo a un Asterix modestissimo, in compenso Gérard Depardieu è un Obelix mirabile. Questo attore gargantuesco, che recita con l’imponenza del corpaccione prima ancora che con l’intensità degli sguardi, è nato apposta per i personaggi eccessivi. Non per nulla è stato il miglior Porthos della storia del cinema (ne “La maschera di ferro”), e non posso non ricordare l’Edmond Dantès del recente “Conte di Montecristo” televisivo. Grazie a lui l’arrischiato sviluppo sentimentale viene mantenuto pienamente entro la logica del fumetto, entro l’universo classico asterixiano.
Purtroppo non tutto il film di Claude Zidi riesce a mantenersi aderente allo spirito del fumetto; e si può osservare che decade esattamente in quanto se ne allontana. Per esempio nella parte dell’infiltrazione nel campo romano le esagerazioni (lo stiramento, i ragni) sono più vicine all’irrealismo poetico di Braccio di Ferro che al realismo comico del vero Asterix, e Obelix è di gran lunga troppo scemo per il personaggio (anche nel fumetto è scemotto; ma appunto la sua scemaggine non è mai irritante e masochistica come qui). Quanto a Roberto Benigni, come sovente quando non si autodirige, è meno efficace del previsto.
Altro problema è che Claude Zidi non è portato al ritmo iperveloce cui aspirano alcune scene (ci sarebbe voluto il Chuck Russell di “The Mask”). Ma visto che il racconto recupera alla fine lo spirito giusto (la conclusione è perfetta!) e che la vicenda di Obelix innamorato infelice sa evocare, se non una ventata, almeno un refolo di commozione, credo che siano un po’ troppo severe le critiche che hanno unanimemente accolto il film.

(Il Nuovo FVG)

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