mercoledì 9 gennaio 2008

8 mm

Joel Schumacher

“Non esiste il cosiddetto snuff”, dice - mentendo - il trafficante dalla faccia patibolare in “8 mm - Delitto a luci rosse” di Joel Schumacher. Rassicuratevi, sembra proprio che lo snuff (un film porno sadico in cui una donna viene torturata e uccisa veramente) sia una leggenda metropolitana. La polizia americana non ne ha mai trovato uno autentico. Invece ne scopre uno nella cassaforte del marito defunto la ricca vedova di “8 mm”, e incarica il detective Nicolas Cage di appurare la verità.
Qui parte una discesa nei gironi del porno estremo, non quello gentile di John Leslie e Rocco Siffredi, ma i confini più dilatati del perverso, fino all’omicidio. Ed ecco il problema del regista: come mostrare il non mostrabile? Quando Nicolas Cage, e noi con lui, vede lo snuff in questione, da un lato Schumacher deve suggerire l’orrore estremo: questo è il motore del racconto, questo giustifica l’esplosione di sacrosanta violenza vendicatrice alla fine. Dall’altro, molto in stile anni novanta, Schumacher è assai cauto sulla messa in scena (era più impressionante il filmato dell’uccisione della ragazza - non uno snuff in senso stretto ma nei fatti la stessa cosa - nel notevole “52 gioca o muori” di Frankenheimer del 1986). La soluzione adottata - trasferire l’orrore sul controcampo, sul volto raggelato di Cage che guarda - è giusta, ma è realizzata un po’ frettolosamente.
Ciò indebolisce il film, che in generale rimane un po’ sospeso fra l’estremo della sua materia e la cautela del suo approccio. Quando appare la figura ironicamente demoniaca del regista-assassino Dino Velvet (Peter Stormare), non si può non osservare che i frammenti delle sue opere che ci vengono mostrati (sono anche dati, per gli amatori di filmografie immaginarie, due titoli: “Garrota” e “Diavolo”) sono più interessanti del film che stiamo vedendo.
In ogni modo questo viaggio di Nicolas Cage ai confini del porno - il suo viso teso, che sembra sempre sul punto di mettersi a piangere, esprime bene lo sconvolgimento - ha la sua atmosfera, benché sia più impressivo (in argomento analogo) il discutibile ma interessante “Il coraggioso” di Johnny Depp. Joel Schumacher è un narratore grezzo ma efficace; quando imbrocca la via giusta, è capace di realizzare storie di buona presa, come dimostra il suo film migliore, “Un giorno di ordinaria follia”. Il cupo sotterraneo dove si aggirano, come dice un personaggio, “i porno zombi” in cerca di filmati sadici e foto pedofile ha i numeri per restare nella memoria. Si riconosce la mano dello sceneggiatore Andrew Kevin Walker (“Seven”). Il film però non sviluppa il tema, congeniale a Walker, della possibile attrazione, o contagio, nel corso della ricerca, anche se lo pone con una battuta di dialogo indovinata: “Ballando col diavolo il diavolo non cambia - è lui che cambia te”. Siamo lontani dai capolavori di Schrader (“Hardcore”) e Friedkin (“Cruising”). Pur nutrendo forse qualche ambizione in più, “8 mm - Delitto a luci rosse” è solo un discreto thriller: uno strano mix di atmosfere ben costruite e di ingenuità galattiche.
Perché la sceneggiatura di Walker è una collezione di buchi logici. A voler fare i pignoli, tutta l’inchiesta di Nicolas Cage (che pure è un detective professionista!) sembra quella di un aspirante suicida: casca in trappole evidenti, commette ingenuità incredibili; non solo nella vita reale, ma anche nella media dei film polizieschi uno così finirebbe a piedi stesi nel giro di una giornata. L’elemento poi più assurdo - tanto da produrre un senso di irritazione - è quell’incredibile moglie, che telefona sul lavoro al marito investigatore come in un film comico, che quando lui per proteggerla la fa scappare di casa si mette a rognare “Guarda dove mi hai portato” e gli rompe l’anima in tutti i modi. Perfino per un film americano “sexually correct” come questo non è concepibile una moglie così cretina. Se non fosse così brutta, in uno snuff dovrebbe finirci lei.

(Il Nuovo FVG)

Nessun commento: