Jared Bush & Byron Howard
Questa
metropoli di animali umanizzati è un perfetta e spiritosa copia
della civilizzazione umana, nei pregi e nei difetti; e ancora una
volta, c’è qualcosa di marcio in Zootropolis, per parafrasare
Amleto (The Tragedy of Hamster, Prince of Denmark di William
Shakesbear, atto I). Ma se nel primo Zootropolis, il magnifico
cartoon della Disney, il marcio era la cospirazione di un individuo –
una pecorella assetata di potere – che voleva far rinascere la
diffidenza fra ex predatori ed ex prede, l’altrettanto bello
Zootropolis 2 mette sul tavolo temi più generali e universali: il
razzismo, la colpevolizzazione etnica, l’esclusione a scopo di
speculazione.
È,
Zootropolis, un’utopia animale (Zootopia) ma non un sogno in rosa.
Grande battuta metanarrativa del primo episodio: “La vita non è un
cartone animato in cui canti una canzoncina e i tuoi futili sogni per
magia diventano realtà!”. Il lieto fine va penosamente conquistato
– in una lotta dove tutta la città (qui la stessa polizia) sembra
schierata contro i protagonisti.
I
registi Jared Bush e Byron Howard, con Bush come sceneggiatore,
vengono dallo stesso team che ci aveva dato il primo Zootropolis
(manca purtroppo John Lasseter, inghiottito dal gorgo del #MeToo) e
quindi sono una garanzia di continuità. Non ritorna soltanto la
“strana coppia” di sbirri Hopps e Wilde, la coniglietta idealista
e la volpe scafata (è un caposaldo del cinema poliziesco quello di
accoppiare in missione due agenti che più diversi non si può).
Ricompaiono accanto a loro quasi tutti i personaggi del primo film, tra i quali il toporagno stile Il Padrino e la cantante sexy
Gazelle (ossia Shakira); non solo perché fanno spettacolo, e sono
passibili di gustosi sviluppi, come la figlia del Padrino, ma perché
i bambini amano ritrovare figure familiari.
Hopps
e Wilde formano una coppia eccellente di caratteri e di
atteggiamenti; forse il più riuscito è il deuteragonista Wilde, che
ha delle espressioni incredibilmente “umane”, ma è una gara
ravvicinata. Com’è naturale, vengono introdotti nuovi personaggi
oltre che nuovi ambienti. Il più importante dei personaggi nuovi, il
serpente Gary De’Snake, conferma una certa difficoltà che hanno i
cartoon a umanizzare i serpenti allo stesso modo degli altri
animali: sembra più un animale parlante che un animale perfettamente
umano come gli altri (però forse sarebbe bastato un berretto, come
nel disneyano Robin Hood). Ciò non toglie che sia protagonista della
scena più commovente del film, quella del ritorno a casa.
Quanto
agli ambienti, i film di Zootropolis giocano molto sulla varietà
degli habitat, come si conviene a una città degli animali, e ciò
consente tanto una varietà di “basi” dove inserire l’azione
avventurosa quanto una ricchezza di sfondi che offre grandi
possibilità di umorismo. Nel secondo episodio compare un inedito
universo acquatico tratteggiato in notazioni deliziose.
Zootropolis
2, al pari del suo predecessore, si muove su una doppia linea comica.
Una per i bambini, che si divertono al ritmo veloce, alle gag e ai
battibecchi dei due agenti, e una per gli adulti, che colgono con
gusto gli intelligenti riferimenti, le citazioni cinematografiche (la
più bella è la comparsa del labirinto di Shining) e i giochi di
parole. Solo a Zootropolis si può ordinare al bar una Piña Koala,
solo a Zootropolis gli amuse-bouche (stuzzichini) si scrivono
amoose-bouche. La ricchezza di invenzioni del film, il suo spirito
satirico, il suo abile gioco di allusioni che si ricollegano alla
realtà (la manifattura dei toporagni che producono in serie false
borse Gucci come fa la mafia cinese a New York!) ci fanno già
desiderare il terzo episodio.

1 commento:
Bella recensione davvero, coglie tutte le sfumature e l'incredibile invenzione del film.
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