James Vanderbilt
Nel
mediocre Norimberga di James Vanderbilt c’è un solo buon motivo
per andare a vederlo: l’ottima interpretazione di Russell Crowe nei
panni di Hermann Goering, geniale manipolatore che, nel film, manca
poco che non metta nel sacco sul piano dialettico il tribunale
alleato.
Potete
dargli come spettatori un piccolo Oscar privato. Se invece vi viene
l’uzzolo di dare un anti-Oscar, avete a disposizione la cagneria
autocompiaciuta di Rami Malek, totalmente fuori parte in un ruolo che
avrebbe avuto bisogno di trasmettere un mix di onestà, presunzione e
interna vulnerabilità – un ruolo che negli anni Ottanta sarebbe
stato perfetto per William Hurt.
Come
struttura, il film ha in
funzione di perno il lungo
excerptum in cui vengono proiettati i filmati (autentici) dei campi
di sterminio nazisti. In un’opera più salda dal punto di vista
drammatico, sarebbe stato il momento in cui l’irruzione dell’orrore
pone in maniera tragica il problema del Male. E
alla questione della
malvagità umana si affianca quella
della giustizia.
Personalmente sono d’accordo con Winston Churchill, il quale nella
realtà storica opinava che sarebbe stato meglio fucilare sui
due piedi un migliaio di dirigenti nazisti invece che mettere su
processi. A proposito dei nobili
principi proclamati, basta
dire che c’erano i russi di Stalin (cosa su cui Norimberga è
ovviamente pudico).
Comunque
i problemi sfiorati affogano
in uno svolgimento piuttosto
televisivo, dove spesso sono
migliori i caratteristi (i gerarchi nazisti processati) che gli
attori di primo piano. Insomma
la
cosa migliore è di rivedersi il bellissimo Vincitori e vinti
(Judgement at Nuremberg) di Stanley Kramer del 1961 – testimonianza
di altri tempi del cinema.

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