James Cameron
Il
direttore Caracciolo e il professor Orsini direbbero che questa
guerra è colpa dei Na’vi, perché si ostinano a combattere quando
è chiaro, di fronte alla superiore potenza terrestre, che l’hanno
già persa.
Come
che sia, la bellezza visuale di Avatar – Fuoco e cenere, terzo
episodio della saga di James Cameron, è indiscutibile. In pratica, i
voli di fantasia degli illustratori di fantascienza degli anni
Sessanta e Settanta vengono resi vivi sul grande schermo. Perché è
lì la genesi: pensiamo per esempio a Chris Achilleos, John Becker,
Chris Foss, naturalmente a Frazetta, e così via. Dunque,
l’elemento grafico e strettamente visuale: piaccia o non piaccia,
la sua predominanza in Avatar è assoluta. L’aspetto narrativo –
diviso fra l’azione immediata e il substrato “antropologico”
sulla cultura e sulle credenze religiose dei Na’vi (gli alieni di
pelle blu, in lotta contro i conquistatori terrestri, ai quali si è
unito l’ex marine ribelle Jake Sully) – è fagocitato da quello
visivo. Con una formula un po’ tranchant ma non errata, potremmo
dire che, mentre di solito l’immagine serve alla storia, qui la
storia serve all’immagine.
Resta
impressa nella memoria la grande costruzione inventiva di questo
pianeta pieno di meraviglie, che ogni episodio arricchisce di
particolari nuovi in un concetto di accumulazione/esplorazione; nel
presente film entra in scena il feroce Popolo della Cenere, pirati
dell’aria capitanati dalla terribile Varang, che sul piano dei
characters è forse la figura più interessante del film. Posto il
pesante influsso del western sulla serie, questi sono i classici
“indiani cattivi”, e il villain numero uno, che li rifornisce di
armi per la sua vendetta, appartiene alla categoria dei comancheros.
La
prima ora, anche se non annoia, è alquanto stancante, perché è
tutta azione che riduce al minimo le mediazioni narrative. In seguito
emerge una struttura narrativa, semplice ma più delineata, e ci si
diverte di più. C’è una lezione in questo: potenza dell’elemento
romanzesco! Il film migliora strutturandosi attorno ad alcuni nuclei
avventurosi ben definiti (il figlio conteso, l’evasione, la battaglia, il “miracolo”). La
battaglia finale è decisamente emozionante. Di fronte ai
cattivissimi terrestri, il cuore sta con i nobili selvaggi,
giustamente tutt’altro che pacifisti: “Andate
dagli uomini del cielo… uccideteli tutti!”.
Anche se il terzo Avatar dura circa tre
ore e venti, si ha lo stesso l’impressione di un certo impaccio in
sede di montaggio, un arrabattarsi per sistemare l’enorme
materiale girato (lo segnala anche il regime incerto della voce
narrante). Ma importa relativamente, in un film dove fondamentalmente
si guarda l’esteso dipinto.

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