venerdì 31 ottobre 2025

Bugonia

Yorgos Lanthimos

Necessariamente, volendo seguire le premesse di Bugonia, il commento di questa superba satira andrà diviso in due parti. Ne approfitto per avvertire chi legge che la presente recensione non si preoccupa degli spoiler e rivela senza patemi d’animo il rovesciamento alla Swift della parte finale (un trick, peraltro, piuttosto prevedibile come possibilità narrativa, benché splendidamente gestito; e del resto, il film è il remake, su sceneggiatura di Will Tracy, di un film coreano abbastanza noto, Save the Green Planet!, scritto e diretto da Jang Joon-hwan).

Il linguaggio come produttore di senso, e quindi come costruzione del mondo, è uno dei temi principali di Yorgos Lanthimos, accanto al dominio, alla prigionia, al corpo fisico e le sue modificazioni. Anche il suo film più famoso, Povere creature!, è una versione geniale della storia di Frankenstein che risale al nocciolo del mito, ossia la formazione della coscienza di una creatura artificiale attraverso il linguaggio (un aspetto sempre messo in ombra nel cinema dal tema della mostruosità). Ancora di più ciò si può dire per Dogtooth – ed è interessante che anche questo film sia un remake, un’abile riscrittura di El castillo de la pureza di Arturo Ripstein.
Bugonia è una dimostrazione di come sia il linguaggio a costruire la “verità”: di qui tutte le paranoie complottiste. Il complottismo è una sorta di istituzione totale linguistica: è il trionfo di un mondo auto-costruito e auto-regolantesi, che recupera e ingloba nel proprio sistema qualsiasi dato di possibile opposizione. Come recita la storiella: “Gli elefanti della Francia sono bravissimi a mimetizzarsi” – “Ma non ci sono elefanti in Francia!” – “Lo vedi come sono bravi?”
Nel film, l’apicultore paranoico Ted (Jesse Plemons), che ha plagiato il cugino scemo Don (Aidan Delbis), è convinto che la ricca e potente CEO di una grande compagnia farmaceutica, Michelle Fuller (una monumentale Emma Stone), sia una aliena di alto rango inviata dall’Imperatore di Andromeda e capintesta di un’invasione che ha schiavizzato, e forse vuole distruggere, la razza umana – e che fra l’altro è colpevole della moria delle api. Infatti questi insetti fondamentali nell’ecosistema soffrono di una sindrome chiamata SSA (sindrome di spopolamento degli alveari), CCD in inglese, che ne sta drammaticamente riducendo la popolazione.
Nella splendida descrizione della paranoia complottista di Bugonia (è il miracolo del film di offrire un’illustrazione da manuale del sistema psicotico prima del sarcastico rovesciamento) è centrale il dettaglio dell’anti-sessualità. Già in apertura parlando dell’impollinazione tramite le api Ted dice “È come il sesso ma è più pulito. Nessuno si fa male”); in seguito lui e il (riluttante) cugino si castrano chimicamente con un’iniezione per “non sentire pulsioni e liberare la mente”. “Una volta uccisi i desideri, cosa che io ho fatto, il padrone di te stesso sarei tu”. Non ci pensiamo spesso ma le varie forme di cultismo complottista (compresa la deriva estremista del MeToo) si basano, esattamente al pari del fascismo con cui molto condividono, su un atteggiamento di difesa aggressiva nei riguardi della sessualità. Lanthimos, sempre molto attento ai meccanismi psicologici, non trascura il dettaglio.
Il film comprende un sguardo sarcastico anche sull’altra parte: il super-sfruttamento – stile Amazon – degli operai della compagnia di Michelle (dove al livello più basso lavora Ted) si accompagna a un linguaggio orwelliano “socialmente conscio”: un’“altra cultura” organizzativa per cui lei ripete ai colletti bianchi “Sentiti libero di andare a casa se non sei impegnato”. Ted ha anche un conto personale con Michelle: sua madre è in coma dopo un esperimento fallito condotto dalla sua compagnia.
I due rapiscono Michelle, la rapano a zero (perché i capelli, dice Fred, con gli alieni funzionano come un GPS) e la tengono prigioniera incatenata nella cantina della loro vecchia casa isolata. La tormentano fino alla tortura fisica per farle confessare la “verità” e convincerla a organizzare un incontro con l’Imperatore di Andromeda per “trattare la pace”. Va da sé che qualsiasi cosa possa dire Michelle per difendersi verrà interpretata come menzogna (perfino quando, nella disperazione, ammette di essere un’aliena!). Altra ossessione di Lanthimos: la prigionia, in senso psicologico: quello fra Ted e Michelle è un perverso gioco di dominio mentale, in un rapporto quanto mai inquietante, con punte volutamente estreme; la posta in gioco è l’influenza, chi dominerà chi. La serie di contorcimenti dialettici di questa partita, in un’eccezionale raccolta di doppi sensi stratificati, è macabra e affascinante. Al fondo, ma è un argomento troppo complesso per svilupparlo qui, il film è una dimostrazione in vitro dell’impossibilita della democrazia.

Poi arriva il rovesciamento: nella sua ultima parte con un’audacia geniale – che però si deve a Save the Green Planet! – il film procede a smantellare il proprio impianto narrativo e ridefinirlo interamente in senso apertamente sarcastico e distruttivo: non per niente menzionavo sopra Jonathan Swift. A sorpresa scopriamo che il pazzo era nel giusto. Ogni particolare del suo delirio, anche quelli minimi, si rivela essere la realtà.
Si potrebbe pensare che il passaggio da un universo concettuale/narrativo realistico a un altro fantastico crei uno iato nel film minandone l’unità. Il rischio c’è, ma non accade: perché il secondo è il rovesciamento speculare del primo, e quindi già implicito, e alluso, nello svolgimento, seppure in negativo; e perché comunque Bugonia contiene in sé quell’elemento di “realismo irreale” ch’è proprio di Lanthimos – e vedi Kinds of Kindness per esempio.
Tuttavia Ted, l’aspirante ambasciatore della razza umana presso gli Andromedani (destinato a una morte ridicola), ha capito tutto alla rovescia. Gli Andromedani non sono sulla Terra per invaderla ma per salvarla – ma con un piccolo problema per quel che ci riguarda. Un lunghissimo spiegone (ironico) che mescola in un solo costrutto tutte le ubbie della visione paranoica del mondo, da Atlantide in poi, ci dà la “vera versione” della storia dell’umanità: deriviamo da progetti genetici sciagurati e portiamo dentro di noi un elemento distruttivo. “Io stessa sono diventati più umana… più egoista e crudele”, dice l’Imperatrice sulla sua vita fra di noi.
A proposito di crudeltà, si scopre che Ted è un serial killer che rapiva, torturava e faceva a pezzi dei malcapitati per fargli confessare di essere Andromedani, e ne teneva delle parti in alcool come campioni “scientifici” (ecco una possibile origine del nome: è lecito pensare che si alluda al famoso serial killer Ted Bundy). Solo due dei rapiti erano effettivamente Andromedani, confessa Ted a Michelle. Chiaro che – nella logica illogica della folle parte finale – è a questi che Ted ha strappato i segreti più straordinari, ma veri nella diegesi, come quello sui capelli-GPS, o la descrizione esatta della nave spaziale Andromedana, che vediamo nel finale corrispondere esattamente a un suo disegno.
La sorpresa avvolta entro la sorpresa è, come accennavo, che quella degli Andromedani è una missione volta alla salvezza del pianeta; i loro esperimenti, compresi quelli sulla madre di Ted, erano indirizzati ad eliminare le tendenza distruttiva degli umani. Purtroppo hanno dato tutti esito negativo. Gli esseri umani, sentiamo, hanno messo in pericolo le vite che condividono. “Perciò crediamo che… il loro tempo finirà”. L’Imperatrice – con le lacrime agli occhi: aveva ben detto prima di essere diventata un po’ umana – aziona il meccanismo dello sterminio.
Se all’inizio, nella visione del mondo di Ted, il film sembrava una versione perversa de L’invasione degli ultracorpi (o della miniserie televisiva V), e più tardi, nel breve momento di relativa verità fra lui e Michelle, di Ultimatum alla Terra, sul finale si stende l’ombra di Stanley Kubrick, che è uno dei punti di riferimento di Lanthimos, con Il dottor Stranamore. La fine del mondo sulle note di una dolce canzone – ricontestualizzata. Su Where have all the flowers gone, cantata da Marlene Dietrich, vediamo tutti gli esseri umani ridotti d’un colpo a cadaveri: un Trionfo della Morte bruegeliano che indica ironicamente la vanità di tutto ciò che noi abbiamo ritenuto importante, uccidere per nutrirci, insegnare ai cuccioli, onorare i morti, pregare le divinità, ingegnarsi di salvare i malati… Vediamo una sala parto dove non nascerà nessuno, vediamo i nastri trasportatori vuoti dove lavorava Ted, vediamo un’inquadratura vuota della casa di lui e Don – e vediamo le api che impollinano i fiori.
Sul “nero” dei credits sentiamo i suoni della natura che rinasce, quello degli insetti e degli uccelli, quello dei tuoni e della pioggia. Il mondo continua – senza di noi. 

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