Yorgos Lanthimos
Necessariamente,
volendo seguire le premesse di Bugonia, il commento di questa superba
satira andrà diviso in due parti. Ne approfitto per avvertire chi
legge che la presente recensione non si preoccupa degli spoiler e
rivela senza patemi d’animo il rovesciamento alla Swift della parte
finale (un trick, peraltro, piuttosto prevedibile come possibilità
narrativa, benché splendidamente gestito; e del resto, il film è il
remake, su sceneggiatura di Will Tracy, di un film coreano abbastanza
noto, Save the Green Planet!, scritto e diretto da Jang
Joon-hwan).
Il
linguaggio come produttore di senso, e quindi come costruzione del
mondo, è uno dei temi principali di Yorgos Lanthimos, accanto al
dominio, alla prigionia, al corpo fisico e le sue modificazioni.
Anche il suo film più famoso, Povere creature!, è una versione
geniale della storia di Frankenstein che risale al nocciolo del mito,
ossia la formazione della coscienza di una creatura artificiale
attraverso il linguaggio (un aspetto sempre messo in ombra nel cinema
dal tema della mostruosità). Ancora di più ciò si può dire per
Dogtooth – ed è interessante che anche questo film sia un remake,
un’abile riscrittura di El castillo de la pureza di Arturo
Ripstein.
Bugonia
è una dimostrazione di come sia il linguaggio a costruire la
“verità”: di qui tutte le paranoie complottiste. Il complottismo
è una sorta di istituzione totale linguistica: è il trionfo di un
mondo auto-costruito e auto-regolantesi, che recupera e ingloba nel
proprio sistema qualsiasi dato di possibile opposizione. Come recita
la storiella: “Gli elefanti della Francia sono bravissimi a
mimetizzarsi” – “Ma non ci sono elefanti in Francia!” – “Lo
vedi come sono bravi?”
Nel
film, l’apicultore paranoico Ted (Jesse Plemons), che ha plagiato
il cugino scemo Don (Aidan Delbis), è convinto che la ricca e
potente CEO di una grande compagnia farmaceutica, Michelle Fuller
(una monumentale Emma Stone), sia una aliena di alto rango inviata
dall’Imperatore di Andromeda e capintesta di un’invasione che ha
schiavizzato, e forse vuole distruggere, la razza umana – e che fra
l’altro è colpevole della moria delle api. Infatti questi insetti
fondamentali nell’ecosistema soffrono di una sindrome chiamata SSA
(sindrome di spopolamento degli alveari), CCD in inglese, che ne sta
drammaticamente riducendo la popolazione.
Nella
splendida descrizione della paranoia complottista di Bugonia (è il
miracolo del film di offrire un’illustrazione da manuale del
sistema psicotico prima del sarcastico rovesciamento) è centrale il
dettaglio dell’anti-sessualità. Già in apertura parlando
dell’impollinazione tramite le api Ted dice “È come il sesso ma
è più pulito. Nessuno si fa male”); in seguito lui e il
(riluttante) cugino si castrano chimicamente con un’iniezione per
“non sentire pulsioni e liberare la mente”. “Una volta uccisi i
desideri, cosa che io ho fatto, il padrone di te stesso sarei tu”.
Non ci pensiamo spesso ma le varie forme di cultismo complottista
(compresa la deriva estremista del MeToo) si basano, esattamente al
pari del fascismo con cui molto condividono, su un atteggiamento di
difesa aggressiva nei riguardi della sessualità. Lanthimos, sempre
molto attento ai meccanismi psicologici, non trascura il dettaglio.
Il
film comprende un sguardo sarcastico anche sull’altra parte: il
super-sfruttamento – stile Amazon – degli operai della
compagnia di Michelle (dove al livello più basso lavora Ted) si
accompagna a un linguaggio orwelliano “socialmente conscio”:
un’“altra cultura” organizzativa per cui lei ripete ai colletti
bianchi “Sentiti libero di andare a casa se non sei impegnato”.
Ted ha anche un conto personale con Michelle: sua madre è in coma
dopo un esperimento fallito condotto dalla sua compagnia.
I
due rapiscono Michelle, la rapano a zero (perché i capelli, dice
Fred, con gli alieni funzionano come un GPS) e la tengono
prigioniera incatenata nella cantina della loro vecchia casa isolata.
La tormentano fino alla tortura fisica per farle confessare la
“verità” e convincerla a organizzare un incontro con
l’Imperatore di Andromeda per “trattare la pace”. Va da sé che
qualsiasi cosa possa dire Michelle per difendersi verrà interpretata
come menzogna (perfino quando, nella disperazione, ammette di essere
un’aliena!). Altra ossessione di Lanthimos: la prigionia, in senso
psicologico: quello fra Ted e Michelle è un perverso gioco di
dominio mentale, in un rapporto quanto mai inquietante, con punte
volutamente estreme; la posta in gioco è l’influenza, chi dominerà
chi. La serie di contorcimenti dialettici di questa partita, in
un’eccezionale raccolta di doppi sensi stratificati, è macabra e
affascinante. Al fondo, ma è un argomento troppo complesso per
svilupparlo qui, il film è una dimostrazione in vitro
dell’impossibilita della democrazia.
Poi
arriva il rovesciamento: nella sua ultima parte con un’audacia
geniale – che però si deve a Save the Green Planet! – il film
procede a smantellare il proprio impianto narrativo e ridefinirlo
interamente in senso apertamente sarcastico e distruttivo: non per
niente menzionavo sopra Jonathan Swift. A sorpresa scopriamo che il
pazzo era nel giusto. Ogni particolare del suo delirio, anche quelli
minimi, si rivela essere la realtà.
Si
potrebbe pensare che il passaggio da un universo
concettuale/narrativo realistico a un altro fantastico crei uno iato
nel film minandone l’unità. Il rischio c’è, ma non accade:
perché il secondo è il rovesciamento speculare del primo, e quindi
già implicito, e alluso, nello svolgimento, seppure in negativo; e
perché comunque Bugonia contiene in sé quell’elemento di
“realismo irreale” ch’è proprio di Lanthimos – e vedi Kinds
of Kindness per esempio.
Tuttavia
Ted, l’aspirante ambasciatore della razza umana presso gli
Andromedani (destinato a una morte ridicola), ha capito tutto alla
rovescia. Gli Andromedani non sono sulla Terra per invaderla ma per
salvarla – ma con un piccolo problema per quel che ci riguarda. Un
lunghissimo spiegone (ironico) che mescola in un solo costrutto tutte
le ubbie della visione paranoica del mondo, da Atlantide in poi, ci
dà la “vera versione” della storia dell’umanità: deriviamo da
progetti genetici sciagurati e portiamo dentro di noi un elemento
distruttivo. “Io stessa sono diventati più umana… più egoista e
crudele”, dice l’Imperatrice sulla sua vita fra di noi.
A
proposito di crudeltà, si scopre che Ted è un serial killer che
rapiva, torturava e faceva a pezzi dei malcapitati per fargli
confessare di essere Andromedani, e ne teneva delle parti in alcool
come campioni “scientifici” (ecco una possibile origine del nome:
è lecito pensare che si alluda al famoso serial killer Ted Bundy).
Solo due dei rapiti erano effettivamente Andromedani, confessa Ted a
Michelle. Chiaro che – nella logica illogica della folle parte
finale – è a questi che Ted ha strappato i segreti più
straordinari, ma veri nella diegesi, come quello sui capelli-GPS, o
la descrizione esatta della nave spaziale Andromedana, che vediamo
nel finale corrispondere esattamente a un suo disegno.
La
sorpresa avvolta entro la sorpresa è, come accennavo, che quella
degli Andromedani è una missione volta alla salvezza del pianeta; i
loro esperimenti, compresi quelli sulla madre di Ted, erano
indirizzati ad eliminare le tendenza distruttiva degli umani.
Purtroppo hanno dato tutti esito negativo. Gli esseri umani,
sentiamo, hanno messo in pericolo le vite che condividono. “Perciò
crediamo che… il loro tempo finirà”. L’Imperatrice – con le
lacrime agli occhi: aveva ben detto prima di essere diventata un po’
umana – aziona il meccanismo dello sterminio.
Se
all’inizio, nella visione del mondo di Ted, il film sembrava una
versione perversa de L’invasione degli ultracorpi (o della
miniserie televisiva V), e più tardi, nel breve momento di relativa
verità fra lui e Michelle, di Ultimatum alla Terra, sul finale si
stende l’ombra di Stanley Kubrick, che è uno dei punti di
riferimento di Lanthimos, con Il dottor Stranamore. La fine del mondo
sulle note di una dolce canzone – ricontestualizzata. Su Where have
all the flowers gone, cantata da Marlene Dietrich, vediamo tutti gli
esseri umani ridotti d’un colpo a cadaveri: un Trionfo della Morte
bruegeliano che indica ironicamente la vanità di tutto ciò che noi
abbiamo ritenuto importante, uccidere per nutrirci, insegnare ai
cuccioli, onorare i morti, pregare le divinità, ingegnarsi di
salvare i malati… Vediamo una sala parto dove non nascerà nessuno,
vediamo i nastri trasportatori vuoti dove lavorava Ted, vediamo
un’inquadratura vuota della casa di lui e Don – e vediamo le api
che impollinano i fiori.
Sul
“nero” dei credits sentiamo i suoni della natura che rinasce,
quello degli insetti e degli uccelli, quello dei tuoni e della
pioggia. Il mondo continua – senza di noi.

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