Lee Yong Zoo
Seo
Bok è il nome in coreano di Xu Fu, alchimista e mago di corte della
dinastia Qin, che secondo gli antichi testi l'imperatore cinese Qin
Shi Huang, temendo la morte, inviò in cerca dell'elisir
dell'immortalità. Per questo in Seobok
di
Lee
Yong Zoo è stato
dato il nome Seobok all'uomo artificiale e immortale del film. Il
doppio concetto attorno a cui ruota il film è appunto l'immortalità
e la paura di morire – che, come dice il regista, “è
semplicemente il nostro destino”.
I due protagonisti si situano, si può dire, al di qua e al di là della barriera della morte. Gi-heon (Gong Yoo) è un ex agente segreto, malato terminale per un tumore al cervello, e tormentato dal senso di colpa per un episodio del passato, relativo a una collega, in cui si è comportato da vigliacco (molto belle le luci irreali, qui tutto blu e arancione, del direttore della fotografia Lee Mo-gae). La consapevolezza di dover morire presto, unita ai dolori che la malattia gli provoca, è la sua maledizione. Seobok (Park Bo-gum) è nato da un esperimento segreto di ingegneria genetica: una creatura artificiale dall’aspetto di ragazzo, creata in laboratorio attraverso la clonazione. È immortale e le sue cellule staminali diverse da quelle umane possono curare qualsiasi malattia. “Attraverso di lui – gongola uno scienziato in laboratorio – l'essere umano può sconfiggere la morte”. Per giunta, Seobok ha poteri telecinetici straordinari.
Dopo che il dottor Anderson, a capo dell'esperimento, è stato ucciso in un attentato, bisogna trasferire Seobok in un luogo più sicuro del mega-laboratorio dove ha trascorso tutta la sua vita. Gi-heon viene incaricato dal suo ex capo di scortare Seobok durante il trasferimento. Dovrebbe essere una missione senza intoppi, ma durante il viaggio il convoglio viene attaccato. Gi-heon e Seobok finiscono in fuga assieme, braccati dai sicari.
Se Gi-heon vuole soltanto concludere in fretta la sua missione, Seobok si aggira incuriosito da tutto. È cresciuto in un'unica grande sala (ne è un'evidente metafora l'uccellino in gabbia che vediamo nello studio di Anderson prima della sua eliminazione), e per lui tutto è una scoperta, in primo luogo quelle bizzarre creature che sono gli esseri umani. Soprattutto una domanda lo assilla: cosa significa morire? Per questa creatura immortale, che non dorme mai, la nostra finitezza è incomprensibile.
Anche se non mancano le scene d'azione (fino ad esplodere, grazie ai poteri di Seobok, in un'apocalisse finale), fondamentalmente Seobok è un esempio di fantascienza umanistica, che non cela intenti filosofico-poetici; agli appassionati della narrativa di science fiction classica ricorderà i nomi di Theodore Sturgeon e Clifford D. Simak. Può essere che appaia a tratti un po' troppo verboso, ma questa pomp and circumstance è il cuore stesso del film; che comunque mantiene sempre un buon livello di tensione, incrociando il film di spionaggio, col suo tipico doppio gioco, l'avventura a base fantascientifica e la riflessione morale.
Al centro del film giganteggia la figura ben delineata di Seobok, nell'eccellente interpretazione di Park Bo-gum: creatura commovente a metà strada fra l'umanità che solo Gi-heon (oltre a una dottoressa) riconosce e la non-umanità che è iscritta nei suoi geni e ribadita dagli altri personaggi. Durante lo svolgimento questi si riferiscono a Seobok con sostantivi disumanizzanti (l'esemplare, il progetto); mentre il pericoloso viaggio di Gi-heon con Seobok fa nascere un riconoscimento reciproco. In fin dei conti, Seobok riporta sullo schermo, in declinazione iper-tecnologica, il mito di Frankenstein col suo viluppo di suggestioni e questioni: l’insanabile alterità dell’uomo artificiale, il tormento della sua esclusione dal consorzio umano, l’incomprensibilità di un fenomeno estraneo alla sua natura qual è la morte. Ora, al fondo sia dell’horror sia di tutti i film di weird science sulla creazione della vita, di frankensteiniana memoria, sta sempre il melodramma; e l'elemento mélo, com'è giusto, entra a gonfie vele nella parte finale di questo film.
Catalogo FEFF 23
I due protagonisti si situano, si può dire, al di qua e al di là della barriera della morte. Gi-heon (Gong Yoo) è un ex agente segreto, malato terminale per un tumore al cervello, e tormentato dal senso di colpa per un episodio del passato, relativo a una collega, in cui si è comportato da vigliacco (molto belle le luci irreali, qui tutto blu e arancione, del direttore della fotografia Lee Mo-gae). La consapevolezza di dover morire presto, unita ai dolori che la malattia gli provoca, è la sua maledizione. Seobok (Park Bo-gum) è nato da un esperimento segreto di ingegneria genetica: una creatura artificiale dall’aspetto di ragazzo, creata in laboratorio attraverso la clonazione. È immortale e le sue cellule staminali diverse da quelle umane possono curare qualsiasi malattia. “Attraverso di lui – gongola uno scienziato in laboratorio – l'essere umano può sconfiggere la morte”. Per giunta, Seobok ha poteri telecinetici straordinari.
Dopo che il dottor Anderson, a capo dell'esperimento, è stato ucciso in un attentato, bisogna trasferire Seobok in un luogo più sicuro del mega-laboratorio dove ha trascorso tutta la sua vita. Gi-heon viene incaricato dal suo ex capo di scortare Seobok durante il trasferimento. Dovrebbe essere una missione senza intoppi, ma durante il viaggio il convoglio viene attaccato. Gi-heon e Seobok finiscono in fuga assieme, braccati dai sicari.
Se Gi-heon vuole soltanto concludere in fretta la sua missione, Seobok si aggira incuriosito da tutto. È cresciuto in un'unica grande sala (ne è un'evidente metafora l'uccellino in gabbia che vediamo nello studio di Anderson prima della sua eliminazione), e per lui tutto è una scoperta, in primo luogo quelle bizzarre creature che sono gli esseri umani. Soprattutto una domanda lo assilla: cosa significa morire? Per questa creatura immortale, che non dorme mai, la nostra finitezza è incomprensibile.
Anche se non mancano le scene d'azione (fino ad esplodere, grazie ai poteri di Seobok, in un'apocalisse finale), fondamentalmente Seobok è un esempio di fantascienza umanistica, che non cela intenti filosofico-poetici; agli appassionati della narrativa di science fiction classica ricorderà i nomi di Theodore Sturgeon e Clifford D. Simak. Può essere che appaia a tratti un po' troppo verboso, ma questa pomp and circumstance è il cuore stesso del film; che comunque mantiene sempre un buon livello di tensione, incrociando il film di spionaggio, col suo tipico doppio gioco, l'avventura a base fantascientifica e la riflessione morale.
Al centro del film giganteggia la figura ben delineata di Seobok, nell'eccellente interpretazione di Park Bo-gum: creatura commovente a metà strada fra l'umanità che solo Gi-heon (oltre a una dottoressa) riconosce e la non-umanità che è iscritta nei suoi geni e ribadita dagli altri personaggi. Durante lo svolgimento questi si riferiscono a Seobok con sostantivi disumanizzanti (l'esemplare, il progetto); mentre il pericoloso viaggio di Gi-heon con Seobok fa nascere un riconoscimento reciproco. In fin dei conti, Seobok riporta sullo schermo, in declinazione iper-tecnologica, il mito di Frankenstein col suo viluppo di suggestioni e questioni: l’insanabile alterità dell’uomo artificiale, il tormento della sua esclusione dal consorzio umano, l’incomprensibilità di un fenomeno estraneo alla sua natura qual è la morte. Ora, al fondo sia dell’horror sia di tutti i film di weird science sulla creazione della vita, di frankensteiniana memoria, sta sempre il melodramma; e l'elemento mélo, com'è giusto, entra a gonfie vele nella parte finale di questo film.
Catalogo FEFF 23
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