Filippo Meneghetti
Nell'Ottocento era
stato chiamato “quell'amore che non osa dire il proprio nome”.
Oggi quell'espressione appare un residuo del passato; ma è ancora
vera per le due protagoniste del film francese Due (Deux),
bell'esordio nel lungometraggio dell'italiano Filippo Meneghetti, che
è nuovamente uscito dopo essere stato vittima della chiusura per la
pandemia.
Barbara Sukowa e
Martine Chevallier senza sorpresa sono ottime nei ruoli di Nina e
Madeleine (Mado), due donne anziane, dirimpettaie nel loro
condominio, che sono amanti da molti anni. Nina è quella decisa,
Madeleine quella prudente; Nina è libera, Mado è vedova con due
figli adulti ai quali ha sempre taciuto la propria scelta
omosessuale, ed è prigioniera di un'antica finzione: l'amore per il
marito dispotico, ora morto. Una serie di avvenimenti – attenzione:
seguono spoiler – fa saltare questa situazione: dapprima le due
progettano di vendere gli appartamenti e trasferirsi in Italia, poi
litigano perché Madeleine non osa dirlo ai figli, infine Mado ha un
ictus (bello l'uso del fuoricampo in funzione drammatica in questa
scena); resta paralizzata e poi attraversa un lento recupero, ma è
incapace di comunicare. Nina si trova nella situazione sconvolgente
di essere una metà della coppia che è però tagliata fuori, perché
agli occhi di tutti è solo la vicina amica. Le due donne avevano
usato i due appartamenti come se fossero uno solo, ma ora Nina deve
sfruttare ogni opportunità, scuse e trucchi di tutti i generi, per
introdursi nell'appartamento di Madeleine e stare con lei – a tutto
detrimento della povera badante Muriel, interpretazione memorabile
della comedienne Muriel Benazeraf (e che si possa lodare in
questi termini un'attrice che compare accanto a due grandi come
Barbara Sukowa e Martine Chevallier non è una realizzazione da
poco).
Al centro di Due
sta l'inganno. Madeleine non ha mai detto la verità ai figli, una
scelta di tacere – una menzogna per omissione – che può anche
apparire conveniente (ed è in linea col carattere di lei, come
vediamo dalla bugia che dice a Nina), ma che diventa una trappola per
entrambe quando colpisce la disgrazia. Il regista Meneghetti ha
dichiarato di aver voluto girare questa storia, più che come un
melodramma, come un thriller, ed è vero: in primo luogo, per la
semplice constatazione che una tensione basata sulla suspense
attraversa il film (lo sguardo di Nina dallo spioncino, il suo
trovarsi nascosta in casa di Mado quando arrivano i figli, o la scena
della telefonata segreta di Madeleine, dichiaratamente
hitchcockiana); in secondo luogo, perché è un meccanismo proprio
del thriller (e anche della commedia, ma qui non c'entra) il concetto
che sostanzia il film, un inganno che deve moltiplicarsi in
progressione geometrica per mantenersi; in terzo luogo, ci basta
riferirci alla saggezza di Hitchcock: per sua natura una storia
d'amore contiene in sé la stessa suspense che una storia di delitto.
Inevitabile la
scoperta, con indignazione dei figli. Vien da pensare che in qualche
modo sia l'età lo “scandalo” di Madeleine ai loro occhi, tanto
per la perdita di una concezione asessuata quanto per l'obbligo di
una ridefinizione che rovescia decenni di “conoscenza pigra” (“Vi
ha mentito per 20 anni. Ama me”, grida Nina). Il film affronta con
sicurezza il tema dell'amore tra vecchi – ed anche la sensualità
del corpo vecchio, quale si vede, con pudore, nella prima scena. Vi
sono un paio di asperità di sceneggiatura – la più evidente: la
mancanza di qualsiasi segnale concordato per comunicare quando
Madeleine ricomincia a muovere una mano e in seguito. Ma Meneghetti
narra questa storia d'amore, inganno e disperazione con convinzione.
C'è un elemento fra onirico e metafisico nel viale di platani
popolato di cornacchie, un luogo nella memoria, dove anche si rifugia
Madeleine durante una “fuga” quando ricomincia a muoversi. Da
notare il bel montaggio secco di Ronan Tronchot. Si fanno ricordare
l'ottimo gioco di inquadrature quando inaspettatamente Madeleine si
alza in piedi, o lo “scivolare” della mdp lungo il pavimento
della stanza devastata prima di un finale, questo sì, apertamente
mélo.
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