sabato 5 maggio 2018

Last Child

Shin Dong-seok


Scritto e diretto dall'esordiente Shin Dong-seok, il coreano Last Child è un film potente. In un commento online Dario Tomasi citava Kieslowski, Lee Chang-dong e, per il finale, Kim Ki-duk. Giusti riferimenti, fra i quali è particolarmente azzeccato il primo: in effetti la freddezza spietata del montaggio di Shin Dong-seok (intendo il macromontaggio fra le scene, coi suoi passaggi freddi e oggettivi e l'uso intensivo dell'ellissi) bene corrisponde all'inesorabile rigore geometrico di Kieslowski.
Una coppia di sposi, i coniugi Jin, ha perso il figlio adolescente che è annegato da eroe per salvare un suo amico. Quest'ultimo è un ragazzo sbandato che a poco a poco viene quasi adottato dai due - ma ha un segreto, la verità sconvolgente sull'episodio (aggiungo che l'unica debolezza del film è appunto una forte prevedibilità circa questo punto). C'è un senso di tragedia in attesa di scatenarsi che è sotteso ad ogni momento, con uno svolgimento psicologico molto centrato. Il film si organizza, infatti, su una doppia linea: quella romanzesca, per cui solo a poco a poco si svela il quadro di ciò che è successo, secondo una traccia quasi poliziesca, e quella psicologico-filosofica che è anche migliore.
Riveste un senso metaforico importante il riferimento continuo (è il mestiere del protagonista Mr. Jin) alla ristrutturazione (renovation) degli appartamenti, togliendo la vecchia carta da parati stracciata e mettendone una nuova. Questo incessante ripulire e rifare rispecchia bene quella necessità di elaborazione del lutto, quel sentimento di “lasciar andare” che è l'esigenza in cui si dibattono i due protagonisti senza riuscire a farla propria. In questo senso (paradossalmente) colpisce più la parte prima della rivelazione che quella dopo; ma è anche vero che questo tema ritorna, implicito, nel finale.

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