mercoledì 27 dicembre 2017

Wonder Wheel (La ruota delle meraviglie)

Woody Allen

E' un peccato che il titolo La ruota delle meraviglie compaia solo sui manifesti e non sulla copia (che fa testo), per cui a rigor filologico il film di Woody Allen si chiama anche in versione italiana Wonder Wheel. E' un peccato perché La ruota delle meraviglie rende bene la grande metafora che presiede al film: che è una riflessione tragica (e infatti si cita la tragedia greca) sulla potenza del Fato, l'ananke – che oggi chiamiamo caso – in contrapposizione ai nostri miseri tentativi di governare le nostre vite.
Wonder Wheel appartiene (come Whatever Works, per esempio) al novero dei film metacinematografici di Allen: il narratore (Justin Timberlake), che è il bagnino Mickey nella Coney Island degli anni '50, interpella gli spettatori guardando in macchina e confida loro sviluppi, commenti, riflessioni. Personaggio importante ma non protagonista, questo giovane bagnino aspirante scrittore è uno dei classici intellettuali presuntuosi e mediocri di Woody Allen (con una parentela particolare col protagonista di Pallottole su Broadway, un film che avremo ancora motivo di citare).
Parimenti è un classico di Woody Allen l'irruzione di un elemento imprevisto – un artificio più o meno soprannaturale oppure, come qui, una visita inaspettata – che mette in crisi un equilibrio. Il film è la storia di Ginny, attrice fallita diventata cameriera, che vive col poco amato secondo marito Humpty, un ex alcoolista che lavora al parco divertimenti. Diciamo subito che le interpretazioni nei due ruoli di Kate Winslet (senza sorpresa) e di Jim Belushi (questa sì è una sorpresa) sono assolutamente eccezionali.
La vita di Ginny è una totale frustrazione, somatizzata nel mal di testa: i ricordi del palcoscenico, il senso di colpa relativo alla fine del primo matrimonio, la povertà familiare; in più, il suo figlio di primo letto è un bambino piromane (purtroppo il piccolo attore non è il Seth Green di Radio Days: non riesce a far decollare il personaggio al di là della bella invenzione). Il suo matrimonio con Humpty non la soddisfa, benché lui la ami nel suo modo rustico (è puro Allen il suo discorso con gli amici circa il temporaneo interesse femminile per la pesca come trucco per accalappiare un uomo: “Ero il pesce”).
Tutt'a un tratto si fa viva la figlia di primo letto del vedovo Humpty, Carolina (Juno Temple), una bellezza superficiale e sbandata, la quale aveva sposato un mafioso, rompendo all'epoca col padre, poi lo ha abbandonato e ha pure parlato troppo con la polizia; adesso si nasconde dai gangster del marito che la cercano per ucciderla. Humpty, padre adorante, la accetta in famiglia, con ira di Ginny che la detesta. In tutto questo intrigo, il cuore della vicenda è che nasce una relazione adulterina di Mickey con Ginny, solo che poi lui si innamora di Carolina...
Un uomo che ha una relazione con una donna e poi si innamora della figliastra di questa; un padre che (sbotta un'inviperita Ginny) ama sua figlia più di quanto sia normale... E' un aspetto quasi sconvolgente de La ruota delle meraviglie che Woody Allen qui evochi per interposta persona fatti e fantasmi del proprio passato.
C'è a un certo punto del film un fondamentale momento “dichiarativo”: Mickey regala solennemente a Ginny un libro di opere di Eugene O'Neill. E' una sorta di cartello innalzato per il pubblico: infatti Wonder Wheel si concretizza interamente entro la temperie del teatro americano, fra Eugene O'Neill e Tennessee Williams (nota in margine: siccome si parla anche della tragedia greca, non sarà inutile ricordare che O'Neill ha portato la tragedia greca nella società americana: Il lutto si addice a Elettra). Nel film è “o'neilliano” lo svolgimento, basato sulla potenza del destino e sulla colpa, ma anche il linguaggio filmico. Se O'Neill è caratterizzato dalla “combinazione di un realismo deliberatamente prosastico con una tecnica espressionistica audacemente inventiva” (Marcus Cunliffe, Storia della letteratura americana), questo secondo elemento emerge nel film tramite la fotografia di Vittorio Storaro (e non del regular di Allen Carlo Di Palma): vedi il pesante alternarsi di luce color ambra e azzurra che “bagna” i drammatici primissimi piani nel colloquio fra Ginny e Mickey sul senso di colpa.
Per inciso, nella citazione precedente si rispecchia perfettamente la storia della scrittura e poi della messa in scena della pièce interna al film nel vecchio capolavoro di Allen Pallottole su Broadway, che è un'imitazione parodistica (basta pensare alla vera origine degli spari fuori campo) della tecnica teatrale o'neilliana.
E Tennesse William entra in campo nella potentissima scena finale di Kate Winslet, vestita di bianco con un fiocco rosa nei capelli, pesantemente truccata, col rossetto un po' sbavato – che richiama con evidenza la Blanche DuBois di Un tram che si chiama desiderio. In questa scena mirabile, prima un classico monologo teatrale, poi un dialogo straziante prima con Mickey e poi con Humpty, la stessa posizione dei personaggi è simile a quella degli attori sul palcoscenico. Mentre il linguaggio cinematografico vi apporta un “di più” col movimento avanti della mdp fino al primissimo piano.
Woody Allen, che è apparso piuttosto stanco nei suoi ultimi film (compreso, a parere di chi scrive, Café Society), sembra riprendere in questo dramma disperato l'inventiva registica di tempi migliori. Un solo esempio, minimo ma notevole: a un certo punto, verso la fine, il bambino piromane dà fuoco alle carte nel cestino della sua psicoanalista e poi fugge in strada. Mentre corre lo vediamo passare davanti a una vetrina di Undertaker (pompe funebri): è un segno di sventura; e infatti uno stacco geniale ci porta al tragico incontro sulla spiaggia tra Ginny e Mickey, lei speranzosa e innamorata, lui freddamente deciso ad abbandonarla.
E' un carosello di anime perdute, più per la crudeltà dell'ananke che per consapevole malvagità. A un certo punto vediamo in un cinema il manifesto di Winchester '73 di Mann – ma in questo universo desolato i film non sono più lezioni di vita come in altre opere alleniane. In questa mediocrità generale, l'unico personaggio a illuminarsi di una luce eroica è – inaspettatamente – il rozzo e sperduto Humpty. Il film si chiude su un nero affresco che chiama pietà per tutti.
Purtroppo Woody Allen non è diventato uno di quei “grandi vecchi” che sanno trasformare il peso e la saggezza dell'aetas gravis in una serie di capolavori (Eastwood, per dirne uno). Possiamo presumere che non ci darà più gioielli come Zelig o Pallottole su Broadway o Crimini e misfatti. Ma indubbiamente nella sua produzione recente Wonder Wheel è il suo miglior film dai tempi di Blue Jasmine.




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