sabato 30 dicembre 2017

Coco

Lee Unkrich & Adrian Molina

La bruttezza del corto spin-off di Frozen che lo precede non può che far risaltare per contrasto la sorprendente bellezza di Coco, uno dei migliori cartoni animati realizzati dalla Pixar in assoluto.
Diretto da Lee Unkrich e Adrian Molina, sceneggiato da Adrian Molina e Matthew Aldrich, con il maestro John Lasseter come produttore esecutivo, Coco è un caldo omaggio al Messico – già nel dialogo inserisce allegramente frammenti di spagnolo (abuelita, ¡callate!, ya lo sabia) – e alla cultura messicana, specialmente relativa al Dia de los Muertos: il giorno dei morti, nel quale le anime dei trapassati lasciano l'oltretomba e vengono a visitare, invisibili, i loro familiari.
Il piccolo Miguel sogna di fare il cantante, ma la sua famiglia di calzolai odia la musica da generazioni: da quando il trisnonno abbandonò la moglie per seguire la carriera musicale (non andò proprio così, ma la verità viene fuori a poco a poco nel film). Del trisnonno non si parla, non c'è la sua fotografia sull'altare delle ofrendas nel giorno dei morti, e guai a menzionare canzoni e chitarre. La ribellione di Manuel contro la famiglia proprio nel Dia de los Muertos si trasforma in una affascinante ma pericolosa avventura, catapultato nel mondo dei morti. Ciò che apprende in quel luogo cambierà il destino suo e quello della famiglia. Il cane Dante, suo compagno nel viaggio, rappresenta una perfetta incarnazione del tradizionale sidekick (compare) comico, con un'animazione divertentissima delle espressioni.
La base grafica del film sono le stampe messicane di scheletri vestiti a festa (possiamo ricordare le splendide incisioni di José Guadalupe Posada, 1851-1913). Gli attivissimi morti di Coco appaiono appunto come scheletri vestiti (memorabili, quindi, le scollature delle signore), col teschio ornato di decorazioni dipinte in classico stile messicano.
Al di là della bellezza dell'animazione in computer graphics (che la compagnia di John Lasseter, non occorre ricordarlo, ha rivoluzionato), la grande dote della Pixar sta nella scrittura: nell'intelligenza trascinante del racconto. Le parole chiave sotto questo suo aspetto sono: completezza e stratificazione.
La seconda è ovvia, e naturalmente non è prerogativa esclusiva della Pixar: i suoi film hanno una ricchezza di livelli di lettura ammirevole, sotto quello destinato ai bambini, con ammiccamenti – cinefili e non – che servono a deliziare gli adulti. In Coco non solo i frammenti di film-nel-film (le vecchie pellicole di cinema messicano in b/n interpretate dall'attore-cantante Ernesto De La Cruz, che forse è il trisnonno perduto) sono inventati con un gusto storico scrupoloso, ma è da ammirare tutta la ricchezza di particolari minori che compongono quest'affresco messicano. Esempio: già all'inizio si rende omaggio ai luchadores (i campioni di wrestling mascherati che incarnarono un'epoca eroica e fascinosa del cinema popolare messicano) con una maschera che non è quella del più famoso di tutti loro, El Santo, ma piuttosto ricorda quella del suo rivale Blue Demon. Ma non preoccupatevi: El Santo in persona, con la sua maschera d'argento (era el enmascarado de plata), compare più tardi nel mondo dei morti; e qui, in una gag deliziosa, abbiamo anche l'occasione di imparare da un suo ammiratore come ci si fa un selfie nell'aldilà.
Qualcuno potrebbe obiettare che almeno i bambini americani possono avere un'idea di tali personaggi attraverso la tv (sempre che esistano ancora i late night movie shows della nostalgia). Però ben difficilmente i bambini possono conoscere un'icona della cultura messicana moderna come Frida Kahlo; e proprio lei compare nel film fra i VIP dell'oltretomba (per la verità, più spesso come travestimento per intrufolarsi, con tanto di sopracciglia unite). E' alquanto strano che non ci sia anche Diego Rivera, nella compagnia... questione di diritti?
Con ciò arriviamo al secondo termine, la completezza. Il cinema della Pixar crea praticamente un'antropologia dei mondi immaginari. Partendo da una premessa... metti, quella derivata da Andersen dei giocattoli che prendono vita quando restano da soli (Toy Story)... gli autori Pixar non si limitano a svilupparla come plot ma ci creano intorno tutto un universo comportamentale e ideale, una cultura. Vedi appunto Toy Story, ma anche A Bug's Life, Monsters & Co., e pure il più modesto Cars. Fino al tour de force di trasformare il film in una teorizzazione complessiva del funzionamento della psiche antropomorfizzando le sue forze elementari nel capolavoro Inside Out.
In Coco questa completezza si esplica nella descrizione del mondo dei morti come replica e deformazione fantastica del mondo dei vivi (comprendente anche dei bassifondi abitati dai morti che stanno per essere dimenticati). Un aldilà messicano vivacissimo e colorato quanto il suo omologo ne La sposa cadavere di Tim Burton – film al quale Coco è ovviamente debitore, in particolare rispetto alle gag delle reazioni di stupore dei morti, con mascelle che cascano giù, occhi che rotolano dentro il teschio e riappaiono nella bocca spalancata; nonché ai giochi sulla scomponibilità dello scheletro (che invero Tim Burton doveva al vecchio cartoon disneyano Skeleton Dance); in questa linea, la gag più divertente è quella dei due zii gemelli che durante una rissa si staccano un avambraccio e lo usano come un nunchaku da film di arti marziali.
Accanto a los muertos, questo aldilà è popolato dagli alebrijes (esistono davvero in Messico, come opere artigianali rappresentanti animali bizzarri), spiriti guida qui convertiti in una specie di pets dei morti. La vita cittadina dell'oltretomba offre mille occasioni di dettagli lepidi (il pittore con la modella nuda, cioè puro scheletro). Il film è sfavillante di umorismo. L'idea più divertente è che la partenza e il ritorno lungo il ponte di petali che nel Dia de los Muertos collega il mondo dei viventi e quello dei morti sono equiparati ai controlli in aeroporto, con poliziotti e doganieri, computer e scannerizzazione dell'immagine (può passare solo chi ha una foto sull'altare delle ofrendas dei vivi).
Ma sotto la superficie comico-avventurosa piena di musica, Coco si inserisce nella categoria del romanzo di formazione e soprattutto del melodramma. E' poetico e (molto) commovente. Cane chi non si è asciugato una lacrima nella scena di climax sentimentale in cui la bisnonna recupera la memoria! Non per nulla Coco è il nome di quest'ultimo personaggio, non del protagonista, e il motivo si rivela solo tardi nel film. Coco è un'elegia della famiglia e della continuità familiare – com'è giusto per un paese che attraverso la ritualità del Dia de los Muertos esalta questa continuità nel ricordo.




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