Okita
Shuichi è una vecchia conoscenza del Far East Film, al quale ha
presentato un capolavoro quale The Story of Yonosuke e un paio
di gran bei film come The Woosdman and the Rain ed Ecotherapy
Getaway Holiday; non si smentisce con The Mohican Comes Home,
in cui il “mohicano” del titolo è un giovane musicista più o
meno fallito, con cresta punk, che assieme alla sua ragazza incinta,
torna in visita a casa, su un'isola vicino a Hiroshima. La
descrizione delle due coppie – quella giovane e quella anziana, col
padre maniaco del cantante pop dei suoi tempi Yazawa Eikichi e la
madre tifosa di baseball – è deliziosa.
Okita
ha solo 39 anni ma tutto il suo cinema sembra far apparire che è più
vicino, come capacità narrativa, al mondo dei vecchi (o
all'interazione tra giovani e vecchi, ossia la famiglia) che a quello
dei giovani. Se l'inizio è un po' debole, il film prende ala subito
quando compare il padre (grande interpretazione di Emoto Akira), che
ben presto si scopre essere gravemente malato. Benché tanto il
protagonista quanto suo padre siano dei musicisti (l'uno in attività,
l'altro dilettante), The Mohican non è un film sulla musica
ma sulla morte: sull'accettazione della morte dei genitori da parte
dei figli – ovvero sulla crescita. Okita non appartiene alla classe
degli Ozu, e nemmeno a quella degli Hiroki Ryuichi, ma realizza un
film davvero umano e sensibile.
Questo
regista ha la capacità di partire dal bozzettismo per arrivare a
qualcosa di più. Mostra sempre una magnifica attenzione ai
particolari (vedi qui, nel primo incontro delle due coppie in casa,
il gioco sulla posizione seduta formale e non formale) e sa
raggiungere veri tocchi di realtà psicologica: penso alla grande
scena della madre (Motai Masako) che guarda il baseball in tv ed
esulta e piange insieme. Quel forte senso di umanità che attraversa
il film, come pure gli altri di Okita, gli permette di ottenere senza
sforzo un mix di commedia e dramma molto libero e naturale: penso
alla superba sequenza del matrimonio in ospedale (dov'è ricoverato
il padre morente) con la lampada da sala operatoria usata come
riflettore e la celebrante con la giacca del tailleur sui calzoni del
pigiama. C'è una dolcezza della storia - ma c'è anche una fisicità
molto realistica del declino del corpo e della malattia mortale
(anche più che in Departures di Takita Yojiro); e la
conclusione raccoglie tutto in una percezione quasi solenne del
passare delle stagioni dell'esistenza. Com'è la migliore qualità di
Okita, alla fine abbiamo l'impressione di conoscere i suoi
personaggi, nella personalità, nei tic, nei minimi particolari, come
se fossero nostri amici della realtà.
Nessun commento:
Posta un commento