lunedì 29 settembre 2014

Rapporto confidenziale (Mr. Arkadin)

Orson Welles
Questo film inizia con un aereo in volo, l’aereo di Arkadin, vuoto; con il suo amore per cominciare dal fondo della storia, Welles parte da un’assenza.
La festa in maschera di Arkadin, ispirata a Goya, è la scena generatrice del film, che è tutta una raccolta di maschere grottesche. Sulla folla regna Arkadin/Welles. Com’è solenne la sua apparizione, con una mascherina bianca! Ma Arkadin è la maschera di una maschera. Infatti sotto ci sono l’immensa barba, il solito naso finto di Welles, una parrucca di capelli rigidi (che serve a rendere il viso di Welles meno rotondo di quello reale). Cosa rimane di Orson Welles sotto tutto questo trucco? Solo gli occhi. Questa figura che si muove come un armadio torreggiante sui suoi ospiti/vittime (Welles, che di suo non era agile, qui volutamente è più massiccio e lento che mai) non è niente, se non un paio d’occhi che spuntano dal trucco teatrale. Domanda, metaforica sul piano diegetico: non sarà finta quella barba?
E allora, quando Arkadin è scomparso dal suo aereo, cosa si è lasciato dietro? Un niente, uno sbuffo di fumo. Proprio come la Maschera della Morte Rossa nel racconto di Poe una volta abbrancata si dissolve in aria, Arkadin è un nulla omicida dietro la maschera: un fantasma, una leggenda. Il suo corpo è un’enorme menzogna proprio come la sua vita. Per questo vediamo solo un involucro senza contenuto; lui è scomparso - scomparso, più che morto (il che apre ipotesi illegittime ma affascinanti sul piano diegetico).
Quando Van Stratten inganna la gente all’aeroporto facendo loro credere che quel signore che offre soldi non è Arkadin, ecco che a un uomo dall’identità inventata viene tolta proprio quell’identità, iniziando quel processo di spoliazione della maschera che culminerà nell’aereo vuoto. Ad esso il film ritorna circolarmente in conclusione dopo che l’avevamo visto all’inizio. Dopo il tradimento di sua figlia Raina/Paola Mori (quanta importanza ha il tradimento nel cinema di Welles!), che segue regolarmente le istruzioni-trappola di Van Stratten/Robert Arden nel dialogo col padre per radio, vediamo gli occhi sbarrati di Arkadin - e poi sentiamo solo il “rumore vuoto” dall’altoparlante.
Anche Arkadin possiede un castello come Kane in Quarto potere, ma quello di Kane era un’ombra gotica, quello di Arkadin è un castello da fiaba con le torri bianche a punta, in accordo con l’essenza fiabesca del suo padrone (sua figlia lo chiama l’Orco).
Kane lo vedevamo morire all’inizio del film, circondato dai suoi possedimenti; Arkadin semplicemente non lo vediamo più. Quel misero aereo noleggiato, visto dall’alto mentre Van Stratten è in auto con Raina, è il contrario di una scena precedente in cui un altro aereo di Arkadin passava sotto le loro teste, come a ricordare che erano entrambi sotto il dominio dell’Orco.
Perché portate quell’orribile barba?” - “Per spaventare la gente”. La fine di Arkadin è la fine di una fiaba nera, di una specie di Babbo Natale demoniaco (il suo ultimo omicidio, in Germania, si annuncia mentre da fuori salgono le note di canzoni natalizie: Tannenbaum e Stille Nacht).
Una fiaba nera colma di ambiguità sessuale, con Arkadin che sottopone Raina a una sorveglianza tanto pervasiva quanto irreale e fantastica, attraverso la schiera occhiuta dei suoi “segretari” (ove Welles si concede deliziosi tocchi di humour nero); che quando si toglie la famosa mascherina bianca lo fa in camera da letto della figlia, di cui parla come un innamorato, ed è per scacciare un possibile concorrente. Per quanto sia stupido, Van Stratten ha capito bene quando osserva a Raina: “Ti fa sorvegliare come un marito geloso”.

(Citizen Welles, a cura di Giorgio Placereani, Udine-Pordenone 2005)

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