martedì 7 maggio 2013

A Story of Yonosuke

Okita Shuichi

Yonosuke, l'eroe eponimo di A Story of Yonosuke di Okita Shuichi (The Woodsman and the Rain), è un giovane di provincia di buon carattere, un po' perso. Viene a Tokyo e si iscrive all'università (nonché al gruppo universitario di samba). Fa amicizia con diverse persone. Riesce simpatico alle donne e nel suo modo svagato, ha le sue relazioni e i suoi amori. Si interessa di fotografia. Nel corso del film attraverso i ricordi degli amici veniamo a sapere che è morto giovane. Tutto qui? Tutto qui.
Eppure A Story di Yonosuke non si può definire in altro modo se non appassionante. E' un film di incredibile immediatezza: sicché il sentimento che desta negli spettatori si può definire di cordiale adesione ai personaggi (è questo, accanto alla perizia narrativa e di messa in scena di Okita, che fa passare le sue oltre due ore e mezza quasi senza accorgersene). Naturalmente quest'immediatezza non cade dal cielo: è abilmente costruita - ma proprio in questo sta la realizzazione artistica. Yonosuke non è un catalizzatore in senso proprio, ma certo lo è in senso simbolico: ovvero, è come un centro, un polo di attrazione, intorno al quale si organizza (in apparenza) spontaneamente il film.
Le cui caratteristiche sono una grazia generale, un umorismo delicato, un sentimentalismo sempre controllato. Ma al di là di questo, parlare di immediatezza significa avvicinarsi alla vita. Questo film assume un tono autentico (un termine che va al di là di “realistico”) perché il suo svolgimento è analogo a quello reale della vita: ci si incontra, ci si perde di vista, nascono amicizie che sembrano eterne e poi finiscono, viceversa casualità si trasformano in imprevedibili amicizie; e ciò vale ancora di più per l'amore: quell'incertezza del futuro che è la caratteristica più forte dell'amore, quella possibilità del morire dell'eclissarsi dei sentimenti, o viceversa quel loro rispuntare, tutte cose che conosciamo bene dalla vita – e che non è così facile ritrovare in un film. Perché? Ma perché per sua natura un film (cioè una storia che dev'essere venduta al pubblico) si basa sulla drammaturgia, ossia la costruzione dei destini e delle vicende: il caso non esiste, o è ridotto al minino; ogni processo deve avere il suo compiuto sviluppo e ogni attimo è indirizzato al prosieguo.
Invece in A Story of Yonosuke l'elemento drammaturgico di causa/effetto è abilmente annullato nel fluire delle cose - proprio come la vita stessa è una drammaturgia incompiuta e mancata. Quindi abbiamo l'impressione di spiare personaggi del mondo reale (e non era proprio questo il programma della Nouvelle Vague?)
Bisogna poi riflettere sul tempo. Pur essendo in realtà sempre declinato al perfetto narrativo, il racconto cinematografico ha due strade possibili da seguire: o un falso presente in sviluppo, tutto aperto alle possibilità del futuro (il quale naturalmente può comprendere la sconfitta o la morte) – o il tuffo all'indietro nel passato, sul filo del ricordo, giocato sull'“E' già accaduto”. I 400 colpi e Quarto potere, per intenderci. Quale di queste due strade segue A Story of Yonosuke? Entrambe.
Questo grazie a un bellissimo lavoro sul tempo, con dei falsi raccordi che rappresentano, sì, dei flash-forward, ma che (per il loro contenuto commemorativo) lanciano uno sguardo retrospettivo, nostalgico e mortuario, sul “presente” del film. Lo mette particolarmente in chiaro ultimo di essi, con il personaggio di Choko, ormai adulta e madre di una ragazza, in auto, che dal finestrino vede (è una soggettiva dichiarata) se stessa giovane con Yonosuke; e questo sguardo dall'auto che si allontana, mentre le figure si rimpiccioliscono, ha un forte senso di addio.
Il senso del ricordo e della morte è fortemente presente nel film. Non bisogna dimenticare che questo film è ispirato, sebbene non ufficialmente, a un noto fatto di cronaca - il protagonista è diventato famoso a partire dalla sua morte per un atto di eroismo nella metropolitana. Il pubblico giapponese è ben al corrente di ciò. Quindi sul presente di Yonosuke si stende retrospettivamente la morte (meno per il pubblico occidentale, naturalmente, ma lo si capisce nel corso del film). Anche per questo è fortissima nel film la dimensione del ricordo. Le ultime parole del film (l'invito della madre a Choko) parlano proprio del ricordare/raccontare (etimologicamente, commemorare). Penso che in questo senso sia significante l'immagine del ciliegio in fiore fotografata da Yonosuke alla fine del film, tanto più che vediamo i petali “nevicare” su di lui - il che ricorda tanto i fiocchi di neve di un precedente momento felice quanto il significato simbolico di quei fiori (bellezza unita a brevità: l'impermanenza) nella cultura giapponese.

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