venerdì 5 marzo 2010

Il concerto

Radu Mihaileanu

Nel cinema di Radu Mihaileanu (“Train de vie”, “Vai e vivrai”, “Il concerto”) è centrale il concetto del travestimento: il paradosso della furbizia per cui il piccolo uomo (che coincide con l'ebreo, vittima predestinata) si difende con le armi dell'imbroglio. I bersagli naturali di Mihaileanu sono i regimi totalitari, et pour cause: trasformano le realtà individuali in colpe collettive, a spese della classica figura dell'uomo onesto che non chiederebbe altro che di fare il suo lavoro.
Nella cupa URSS di Brežnev, Andrej ha perso il posto di direttore d'orchestra al Teatro Bolšoj per avere difeso i musicisti ebrei che il leader comunista antisemita voleva cacciare. Nella nuova Russia, vive facendo le pulizie al teatro. Intercetta un fax che invita l'orchestra del Bolšoj a suonare al Théâtre du Châtelet di Parigi, ed ecco il piano: raggrupperà i vecchi membri della sua antica orchestra e andranno a Parigi a suonare Čajkovskij spacciandosi per l'orchestra ufficiale.
Se “Il concerto”, film piacevolissimo, appare meno memorabile di “Train de vie” è per via della minore portata della truffa: quella di “Train de vie” era di un estremismo sfacciato (gli ebrei che si travestono per metà da nazisti e si auto-deportano su un treno per fuggire), passibile di essere sviluppato in modi sempre più pirotecnici (i finti deportati e i finti nazisti pregano insieme in una radura, spiati da partigiani che non ci capiscono nulla: “forse sono nazisti ebrei”). Ne “Il concerto” la truffa, sebbene comicamente assurda, non ha la stessa follia da Barone di Münchhausen dell'altro film.
La grande capacità di Mihaileanu è il bozzetto: sviluppandolo ci offre un quadro satirico assai divertente della Russia d'oggi, con i nouveaux riches mafiosi (bella la pagina del matrimonio superkitsch che finisce in sparatoria), gli oligarchi amici di Putin, i nostalgici del comunismo che affittano comparse per le loro manifestazioni, il piccolo mondo ebraico, gli zingari, la gente che si arrangia come può (grandi i due anziani che doppiano i film porno con torbidi gemiti emessi lavorando a maglia). Quando l'azione si sposta a Parigi il bozzettismo diventa un po' troppo divagante, anche se resta gradevole, e s'inserisce con una certa pesantezza il tema del rapporto fra Andrej e la famosa violinista Anne-Marie, da lui richiesta per il concerto. Se dico pesantezza è perché qui la sceneggiatura soffre di una carenza logica. L'ostilità della segretaria-agente di Anne-Marie verso Andrej serve a deviare lo spettatore sulla falsa pista che la violinista sia figlia illegittima di loro due; ma quando arriva la rivelazione della vera paternità, non ha più senso. Va aggiunto che la rivelazione offre l'occasione per un'immagine - i due vecchi musicisti ebrei soli nella neve nel gulag - che ricopre la stessa carica simbolica dell'inquadratura dell'ebreo in un piccolissimo recinto del lager alla fine di “Train de vie”.
Va da sé che, dopo mille pericoli e mille recuperi in extremis, per quest'orchestra raffazzonata sarà un trionfo mondiale (interessanti, sul piano del linguaggio, i flash-forward che durante il concerto mostrano e anticipano i viaggi trionfali dell'orchestra in seguito). Il film nel finale dà giustamente larghissimo spazio al Concerto per violino e orchestra di Čajkovskij. Non solo una “metafora musicale “ (Mihaileanu) in cui si realizza quella fraternità che sta come utopia alla base della sua opera - ma anche una pagina musicale trascinante. Una delle figure più fosche del Novecento, V.I. Lenin, diceva di diffidare della grande musica perché ti fa venir voglia di abbracciare la gente mentre invece bisogna picchiarla sulla zucca. Nel suo rovesciamento psicopatico, ci aveva azzeccato.

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