domenica 23 novembre 2008

Quantum of Solace

Marc Forster

Quasi quasi, sembra dire “Quantum of Solace”, si stava meglio una volta quando il nemico era chiaro. La Spectre, con Ernst Stavro Blofeld e il suo gatto persiano, o la SMERSH. Oggi ci sono sempre le carogne (i finti ecologisti della Quantum, alla caccia - ecco un particolare interessante - del nuovo tesoro che è l’acqua), però davanti ai loro giochi sporchi il nostro mondo si compromette, amici e nemici si confondono, e in particolare gli americani - spaccati al loro interno fra buoni e cattivi - fanno la figura degli imbecilli.
Non c’era da aspettarsi molto dal regista Marc Forster, ma il nuovo film di James Bond, certamente tutt’altro che un capolavoro, non merita tutto il male che ne è stato detto. La sceneggiatura è un po’ troppo sovraccarica e confusa per un film bondiano, ma l’action non è male e il montaggio di Matt Chesse e Richard Pearson è degno di nota, assai veloce ma senza per questo offuscare l’azione (come per esempio certi passaggi de “La mummia – La tomba dell’Imperatore Dragone”). Di più, vi sono in “Quantum of Solace” due sequenze eccellenti, nelle quali l’azione narrativa si incrocia e si riflette elegantemente - mediante analogie, contrasti, rimandi, rime - con un’azione esterna di tipo “cerimoniale”: Bond che insegue un traditore fra la folla di Siena mentre si corre il Palio, Bond che porta lo scompiglio fra i cospiratori durante una messa in scena della “Tosca”. L’effetto è veramente rinfrescante.
Sì, però, hanno ripetuto tutti, non è Bond. Non va a letto con la bella del film, non beve Martini “agitato, non mescolato”, eccetera eccetera. Non per fare il bastian contrario, ma vorrei suggerire che questo sequel di “Casino Royale” è meno “sbondizzato” di quanto sembri. In primo luogo: anche se si tratta di un film disgustosamente casto (forse il primo 007 in cui i credits, con le dune di sabbia a forma di donna nuda, sono più erotici del resto), è vero che Bond non combina nulla con Camille (Olga Kurylenko) ma si porta a letto Strawberry Fields (Gemma Arterton), la Bond Girl nr. 2 del film (che poi finisce anche uccisa, con una citazione di “Goldfinger”): quindi l’onore maschile e bondiano è salvo. Quanto all’incompetenza in campo alcoolico, è solo un inner joke per rammentarci il tradimento - quello sì! - di “Casino Royale” (giustificabile solo se osserviamo che in quel momento 007 era “very upset”. Non ignoro che attraverso la giustificazione narrativa passa una ridefinizione dell’immagine: faccio solo notare che essa non era così gratuita).
Bisogna aggiungere che il Bond cinematografico, nel suo turbinare di corpi e facce (Bondenstein?), è sempre stato emozionalmente meno complesso rispetto a quello letterario di Ian Fleming. Ebbene, Daniel Craig sarà poco raffinato, ma offre un’incarnazione credibile a “quel volto duro, quasi crudele” (Fleming) del Bond dei romanzi; la sua cupezza sottende una sorta di disperazione che ben riesce a evocare il grumo di vulnerabilità che il Comandante Bond, in Fleming, tiene ben celata sotto la durezza esteriore.
“Quantum of Solace” è una storia (beh! lo scheletro di una storia) di ambiguità - “Non conosciamo mai nessuno a fondo, non è vero?” - e di vendetta. Sempre molto piacevole, quest’ultima, come motore dell’azione al cinema: così troveremo la giustizia almeno sullo schermo - specie noi dell’Italia, dove anche il più immondo degli assassini trova sempre un magistrato moralmente complice pronto a rimetterlo in liberà o dargli una condanna risibile. Bond al contrario, con una trovata narrativa che vale tutto il film, abbandona il supercriminale (Mathieu Amalric) in pieno deserto con la sola scorta di una lattina di olio da macchina (che poi lui, apprendiamo, berrà per disperazione). Questo, Roger Moore non lo avrebbe mai fatto; Sean Connery l’avrebbe ritenuta una buona idea ma uno spreco di tempo, e gli avrebbe sparato in fronte; Timothy Dalton non ci avrebbe manco pensato; Pierce Brosnan sì ma gli sceneggiatori non gliel’avrebbero lasciato fare; a George Lazenby gliel’avrebbe proibito il suo agente. Ma il Bond di Ian Fleming l’avrebbe fatto senza esitazioni, e anche in questo, quindi, Daniel Craig gli si riavvicina.

(Il Nuovo FVG)

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