venerdì 4 aprile 2008

Tutta la vita davanti

Paolo Virzì

Domanda: perché in “Tutta la vita davanti” - l’intelligente commedia di Paolo Virzì sui superprecari dei call center, dove finisce la neolaureata Marta/Isabella Ragonese - quasi tutte le ragazze del call center sono belle? Per non parlare di Sonia/Micaela Ramazzotti, splendida, che compare nuda in mezzo film e lodevolmente discinta nel resto? Serve al realismo, come la nudità di Marisa Tomei in “Onora il padre e la madre” di Lumet? Chiaro che no. Serve al successo commerciale del film? Che sospetto ingeneroso. La risposta esatta è: serve a convincere lo spettatore a tenere aperti gli occhi.
Poiché il film si potrebbe comprendere egualmente con gli occhi chiusi. C’è una presenza inesorabile della voce narrante, che presenta la storia di Marta, s’interrompe per i dialoghi, riprende; e non solo in apertura; ritorna come la maledizione di Tutankhamen per tutto il film. Non è cinema: è radio.
Beninteso, questa commedia non manca di buone idee (anche troppe: è un po’ affastellata). Si vede una notevole attenzione nei dialoghi, che hanno un ritmo molto moderno (la bambina che aspetta la madre col cellulare in mano: “Sta arrivando, mi ha vibrato”) e un’aderenza satirica pungente (i termini commerciali inglesi nel linguaggio dei maschi gasatissimi del call center come Lucio 2/Elio Germano). E’ un film pieno di buone interpretazioni, da Isabella Ragonese e Micaela Ramazzotti fino ai due cattivi con celata miseria umana, Sabrina Ferilli e Massimo Ghini. Il bicchiere di Virzì è mezzo vuoto e mezzo pieno; il suo risultato oscillante denuncia un’indecisione di fondo.
L’errore peggiore è lo spazio a dir poco eccessivo dato alla voce narrante. Ma uno sbaglio è stato anche non abbandonarsi a quella “voglia di musical” che serpeggia nel film - e finisce così limitata a tre momenti: l’apertura col balletto in città (scena peraltro piuttosto fiacca); le mattine al call center, dove il numero musicale è diegetizzato, vale a dire inserito nel racconto, ma sempre di musical si tratta; gli allegri titoli di coda che ripropongono gli attori (vedi ad esempio Marta con i gerontocrati dell’università sullo sfondo). Se Virzì avesse voluto fare tutto il film su questa falsariga (che non avrebbe tolto nemmeno un grammo alla cattiveria della satira), ne sarebbe potuto venir fuori un piccolo capolavoro - tipo uno di quei musical comico-satirico-parodistici delle Filippine, alla Quark Henares e alla Joyce Bernal.
Ci sono nel film degli interessanti momenti di consapevolezza del mezzo: per esempio, abbiamo appena finito di schifarci per quant’è retorico e stantio un movimento di macchina da presa avanti fino al primissimo piano sul discorsetto del sindacalista Conforti/Valerio Mastandrea, che Marta sbotta “retorico!” - intende il discorso, ma chiaramente vale anche per il linguaggio filmico. Resta il sospetto, tuttavia, che per Virzì questo sia più un “ma anche” veltroniano che una reale distanziazione ironica.
Anche perché v’è una scena che nega qualsiasi ipotesi di recupero ironico: la morte della madre di Marta con l’allucinazione di costei che la vede viva e balla con lei. E’ una delle pagine pseudo-poetiche più brutte del cinema italiano recente (in confronto, Ozpetek, che ha giocherellato con la stessa pericolosa materia in “Saturno contro”, sembra Bergman). Qui conviene rievocare un vecchio caposaldo della canzone kitsch: “Balocchi e profumi”.
“Mamma / mormora la bambina / mentre / pieni di pianto ha gli occhi / per la tua piccolina / non compri mai balocchi / mamma tu compri soltanto i profumi per te!” - perché questa canzone (la mamma poi si pente e compra i balocchi alla bambina quand’essa è sul letto di morte) è un capolavoro dell’orrore? Il motivo non è tanto la leziosità del lessico (quando fu scritta, erano termini più comuni). Neanche la piatta facilità delle rime. E’ l’evidentissima sproporzione fra l’effetto poetico/commovente che si vuole conseguire e la pochezza estrema dei mezzi usati; da cui deriva l’emergere in primo piano dell’intenzione. E qui è esattamente la stessa cosa.

Il Nuovo FVG

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