lunedì 7 gennaio 2008
The School of Rock
Richard Linklater
Chi ha visto il bel film di Stephen Frears “Alta fedeltà” certamente ricorderà il personaggio secondario del pazzo commesso casinista, Barry, del negozio di dischi del protagonista. Lo interpretava - ma sarebbe meglio dire, lo viveva - Jack Black: un viso di caratterista che avevamo già visto in tanti film, una di quelle personalità che vedi sullo schermo per un attimo ma restano nella memoria, e che con “Alta fedeltà” è esploso, sicché tutti abbiamo sperato di riconoscere in quell’esagitato un nuovo John Belushi.
L’esile ma gradevole “The School of Rock” di Richard Linklater offre a quest’attore californiano trentacinquenne (nonché leader del gruppo rock “Tenacious D”) uno dei suoi rari ruoli da protagonista sul grande schermo - a differenza che alla tv americana, dove fra l’altro Black ha realizzato parodie de “Il Signore degli Anelli” e “Spider-Man” in coppia con Sarah Michelle Gellar (“Buffy”).
S’intende, in “The School of Rock” Jack Black non fa che replicare il suo personaggio standard di rockettaro gasato. In ogni modo, è gustosissimo anche in questo film, dove diventa, sotto mentite spoglie, supplente in una scuola elementare di lusso e - all’oscuro di genitori e autorità scolastiche - trasforma la sua classe di bambini di dieci anni in una rock band capace di misurarsi con quelle degli adulti. In effetti, performance di Black a parte, lo humour del film si basa fondamentalmente sul concetto di spostamento: ruoli, atteggiamenti, espressioni propri dell’ambiente del rock vengono trasferiti pari pari sui bambini, in modo credibile e divertente grazie alla sceneggiatura anche troppo calcolata di Mike White e soprattutto alla piacevole interpretazione dei bambini stessi, che devono essersi divertiti un mondo a girare il film (vorrei menzionare in particolare la piccola attrice professionista Miranda Cosgrove, deliziosa nella parte di Summer, la capoclasse “perfettina” che senza sforzo si trasforma in manager della band). La regia di Richard Linklater non è particolarmente incisiva ma è funzionale alla semplicità del progetto.
Se si sente nel film una vaghissima reminiscenza di “L’attimo fuggente”, bisogna anche dire che Dewey/Jack Black - teorizzatore del rock come lotta contro il potere - non deve superare ostacoli insormontabili in questa scuola diretta dalla preside Rosie/Joan Cusack, severa di fuori e romantica hippy vulnerabile all’alcool di dentro. “The School of Rock” è un “juvenile”, un film per ragazzini e famiglie; certamente non ha la devastante radicalità anarchica di “Animal House” di John Landis o neppure (per restare nella stessa fascia d’età scolare) di “Matilda 6 mitica” di Danny De Vito. Semmai un modello più o meno inconscio - o almeno, comunque, un film fortemente analogo - è il vecchio “E’ meraviglioso essere giovani” di Cyril Frankel (Gran Bretagna 1956), con John Mills professore musicofilo osteggiato dal preside conservatore (va aggiunto che la musica proibita in quel caso era il jazz, cosa già in partenza più interessante del rock).
Ma questo non sia detto per essere severi circa “The School of Rock”, che garantisce onestamente due ore di leggero divertimento coi paradossi di questa classe in cui l’orario delle lezioni è storia del rock, teoria del rock e pratica, i compiti per casa sono CD da ascoltare e la lavagna scoppia di grafici della storia dei gruppi punk, con frecce e derivazioni. O con la spiritosa Joan Cusack (era memorabile come fidanzata delusa di Kevin Kline in “In & Out” di Frank Oz), in una bella interpretazione giocata sulla mimica, che diventa sempre più efficace man mano che la catastrofe si approssima (un piccolo momento di umanità sublime è quando lei nel mezzo dei guai esce dall’aula e si rifugia in un angolo faccia al muro). O i bambini, già detto, che sono fortissimi. E così naturalmente, al momento dell’esibizione e del trionfo finale della band, di fronte a una platea di genitori prima incazzatissimi e poi plaudenti, siamo tutti con loro. E vai!
(Il Nuovo FVG)
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