martedì 8 gennaio 2008

The Opposite of Sex

Don Roos

“I’m just looking for love”, cerco solo l’amore, dice la canzone che sentiamo nei titoli di testa di “The Opposite of Sex” di Don Roos. E’ proprio quello che non potrebbe dire la protagonista Dedee, temibile adolescente americana che parla come un camionista e che travolge la vita di tutti i personaggi del film con un egoismo così sterminato da raggiungere una sorta di innocenza animale (la interpreta con convinzione e aderenza davvero memorabile Christina Ricci). Dopo aver rotto con la madre alcoolizzata piomba come una tempesta in casa del fratellastro gay Bill, sfascia il ménage, si fa mettere incinta dal di lui amante Matt, e questo è solo l’inizio di una serie di tragicomici disastri.
L’esordio registico dello sceneggiatore Don Roos è una gustosa commedia gay, agra, che ci parla della fragilità dei sentimenti amorosi e della nostra difficoltà di comprenderli quali sono in realtà. Alla comprensione perveniamo solo attraverso la crisi; forse è questo, nello schema dello cose, il ruolo di Dedee, pestilenziale rovinafamiglie. Ruotano freneticamente attorno alla giovane strega Bill il generoso, Matt lo stupido, Lucia la complessata, Jason il balordo e Carl, l’onesto poliziotto innamorato (un’ottima interpretazione “deadpan” di Lyle Lovett); il gustoso gioco di caratteri del film controlla la tendenza a fuggire per la tangente, tipica di tante commedie contemporanee, grazie alla particolarità della voce narrante di Dedee.
“Se siete uno di quelli che odiano i film dove c’è una persona che non si vede e parla per tutto il tempo... vi è andata male”. Sull’ambiguo statuto della voce narrante cinematografica (interna o esterna al racconto?) Dedee non ha proprio dubbi. Si rivolge direttamente a noi spettatori: “Amate lui e odiate me, vero? Quelli che vengono scaricati fanno sempre simpatia - persino gli omosessuali”. Ci avverte: “Se pensate che sono una sbandata ma che in fondo ho solo bisogno di tanto affetto, beh, siete fuori strada. Non ho un cuore d’oro e non mi viene neanche alla fine, va bene?”. Ora sancisce la sua identificazione col film decidendo cosa farci vedere; ora critica - con effetto comico irresistibile - i mezzi con cui il racconto fa leva sui nostri sentimenti (sull’inquadratura di Bill triste per l’abbandono: “E’ solo la musica! Non significa che sia migliore di me”). Ironizza sui meccanismi narrativi: “Ah, questa parte dove prendo la pistola è importante perché rispunta più avanti. Questa si chiama anticipazione - l’abbiamo studiata anche a scuola, al corso su Dickens”. Tende trappole al pubblico (il commento sulle reazioni in sala dopo che abbiamo visto un bacio fra uomini). La sua voce aspra ci accompagna per tutto il film, aggressiva e irridente, filosofeggiando con esilaranti lezioni sui rapporti umani, i gay, il sesso e la vita nell’ottica di un cinismo radicale.
Questa ironica consapevolezza narratologica è l’elemento più interessante di “The Opposite of Sex”. Non è un ornamento: è lo scheletro del film, la sua carne e la sua pelle: è lo scherzo narratologico a dargli consistenza. Fra l’istanza narrante e il narrato si crea un sottile gioco di rispecchiamenti e di ambiguità (non conoscitive ma morali: relative alla nostra reazione e al nostro giudizio); e il gioco di incastri fra il dialogo scintillante del film e l’elemento “esterno” della voce narrante viene arricchito dall’inedita autoconsapevolezza di quest’ultima. Così il film di Don Roos è un altro esempio dell’interesse metanarrativo del cinema recente: un cinema che porta in primo piano le forme della propria narrazione, interviene direttamente sul proprio svolgimento, mette in crisi il proprio presupposto realistico “teatrale”. Ma non lo fa sempre in modo così divertente come, grazie a Christina Ricci, in “The Opposite of Sex”.

(Il Nuovo FVG)

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