giovedì 17 gennaio 2008

Omicidio in diretta

Brian De Palma

Un vecchio film prodotto da Roger Corman aveva per titolo "The Beast with 1.000.000 Eyes", il mostro con un milione d'occhi. Potremmo rubarlo per descrivere l'universo secondo Brian De Palma: una realtà sconvolgente spezzettata nelle centomila schegge della visione. Ecco le ossessioni del regista americano, il più metalinguistico di tutti i metalinguisti di Hollywood: il vedere, la moltiplicazione e il frazionamento del visibile. Nel suo cinema De Palma non riflette sull'ontologia dell'immagine bensì della visione e della riproduzione.
Anche il bellissimo "Omicidio in diretta" ripropone la dialettica depalmiana fra il vedere e il suo scacco. Da un lato l'ossessione del vedere esplode in un delirio di onnipotenza della macchina da presa: lo dichiara l'elettrizzante piano sequenza iniziale, ma si confronti anche la sequenza in cui, come in un film degli anni Quaranta, la macchina da presa/occhio scivola sopra una parete e, attraverso il soffitto inesistente, spia dall'alto nelle varie camere dell'albergo. Allo stesso tempo il film riafferma il carattere caleidescopico della realtà. De Palma modella la sua ricerca linguistica sul grande mito americano della conoscenza, il complotto: con Nicolas Cage, poliziotto corrotto ma leale ("E' il mio unico vizio") che a fianco dell'amico Gary Sinise, alto ufficiale della marina, si ritrova testimonio e investigatore di un omicidio politico durante un megaincontro di boxe. Come in Kubrick e nel recente Tarantino di "Jackie Brown" assistiamo a una ridefinizione in flashback della scena centrale, la stupenda e caotica scena dell'attentato, rivedendola attraverso gli occhi di diversi personaggi. In "Omicidio in diretta" la moltiplicazione dei punti di vista (comprendenti la menzogna) si unisce alla moltiplicazione degli schermi (che il film spinge fino a restringere in alcuni passaggi il formato cinematografico in scope a quello televisivo); e c'è un ovvio rapporto fra le due istanze.
Quella moltiplicazione della visione che supportavano gli "split-screen", ch'erano un tempo la cifra, la caratteristica di De Palma (cfr. "Carrie"), ritorna qui nei vari schermi tv e monitor che "forano" l'inquadratura cinematografica; vedi per esempio la bella sequenza manieristica dell'inseguimento visuale di una coppia attraverso il controllo a circuito chiuso nella sala monitor. Ma De Palma ricorre di nuovo in questo film anche al "suo" puro "split-screen" rinnovandolo con logica ed eleganza, al momento culminante del racconto dedla misteriosa Carla Gugino a Nicola Cage, fino a comprendervi accanto al flashback il viso sconvolto di Cage che ascolta il racconto.
Perché non comprenderemmo il regista se accanto alla sua discesa all'inferno delle immagini non considerassimo il secondo momento: la risalita a partire da esse. De Palma crede nell'analisi minuziosa dei frammenti di immagine - diremo meglio, per comprendervi il suono, di scheggia sensoriale - dai quali emerge, non indolore, una nuova verità. Non dimentichiamo l'omaggio critico a "Blow-up" di Antonioni nel dare a un suo film il titolo di "Blow-out"! C'è sempre un obbligo morale in questo teorico della visione. Lo esprime in "Omicidio in diretta" la conoscenza non voluta che si impone a un protagonista riluttante fino alla disperazione.
In De Palma il termine di inquadratura è centrale sia in senso proprio sia in senso metaforico. Come mostra tutto il suo cinema, in/quadrare vuol dire mettere in quadro, stabilire dei confini, intervenire sulla realtà: inserire una certa porzione di verità in un quadro è lasciarne fuori un'altra. Esiste sempre un fuori quadro, da reinserire: e il processo tormentoso e confuso di ridefinizione della realtà attraverso lo scavo nella visione non è forse una nuova messa in quadro? Questo è il cinema di De Palma, che in "Omicidio in diretta" conferma - accanto all'affascinante perizia narrativa - una consapevolezza linguistica, una capacità di riflettere sul linguaggio del mezzo e di utilizzarlo a fini espressivi, che gli fanno onore.

(Il Friuli)

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